Tutte le aporie dei vangeli risaltano piuttosto come anacronismi o imprecisioni parecchio analogici agli stessi tratti salienti della vicenda evangelica, alla luce della tarda data in cui apparvero gli scritti: chi compilò questi ultimi (ben parecchio tempo dopo la morte di un personaggio così sconvolgente) si servì di un canovaccio di base condiviso, verosimilmente impostato su supporto storico, e cercò di proporlo come racconto dimostrativo dell'esistenza di un riformatore religioso chiamato significativamente Gesù, inventando delle profezie bibliche ignote o scassinando il significato di certune altre già esistenti, al fine di dimostrarne la storicità.

Come ho anticipato varie volte, alle origini non esistevano vangeli ufficiali, ma solo degli stralci di canovaccio, la cui compilazione originaria e la cui redazione definitiva rimane un mistero, o tutt'al più viene spiegata dietro la parentesi dell'"ispirazione divina": non è noto né chi li abbia ricompilati né chi abbia scritto gli originali, sebbene sia noto l'anno e il modo in cui fu deciso il canone.
Nei codici originali ci mancano, peraltro, certe parti dei canonici, come ad es. Mc. 1.11 e 16.9-20, Lc. 22.43-44, Gv. 7.53 e 8.11. Il cosiddetto Comma della prima lettera di Giovanni (5.7-8), usato dagli esegeti per provare l'originalità della dottrina della Trinità, oggi non è incluso nelle traduzioni moderne della Bibbia, se non fra parentesi; esso manca in tutti i codici più autorevoli (Sinaitico, Vaticano, Alessandrino, Fuldense, Amiantino) e in quasi tutte le citazioni della patristica, tranne quelle che si rifacevano alla Vetus Latina, e delle quali nessuno assicura la derivazione. La presunta citazione di Tertulliano (ritenuto il primo ad averla definita) non è letterale, mentre quella di Cipriano risale al III secolo abbondante. Inoltre, il versetto non viene citato in nessuno dei primi quattro concilii svoltisi dal 325 al 451 né nelle polemiche ariane.
Al pari di Mc. 16.9-20, il passaggio di Gv. 8.1-11 era ignoto prima del tempo di Agostino e incluso nel Textus Receptus: risulta assente nei manoscritti più antichi, mentre in altri è inserito in quello di Luca...
Lo stesso standard marciano terminava all'attuale capitolo sedicesimo, prima del III secolo, quando Ireneo e Ippolito iniziano a citare il resto: stesso dicasi per Gv. 21.

Il teorema dell'"umano errore di distrazione" tenta di mitigare il dubbio, che tale rimane: la parola di Dio non può essere soggetta a refusi. Più probabilmente, in caso di errori la colpa è dell'uomo.
I "padri", invece, provavano ad aggirare il problema tramite l'imposizione. Così Giustino risolveva la questione nel Dialogo, precedendo di qualche secolo le risposte del discepolo di Ambrogio a Geronimo:

"Non ho l'audacia di pensare o dire che le sante scritture si contraddicono tra loro: se si adduce qualche testo che in apparenza sembra sostenere il contrario, io sono convinto e completamente persuaso che nessun passo della Scrittura può essere in contrasto con un altro. Penserei piuttosto di non saper comprendere ciò che sta scritto e cercherei di far accettare la mia convinzione a coloro che vi sospettano una contraddizione".

Seguendo questa confessione di fede, Eusebio ammoniva i malaccorti correttori del suo tempo affinché non correggessero il nome di Achis, trascritto erroneamente al posto di quello di Abimelech! Si vede che l'errore (comparso a proposito di quel famoso Salmo su cui si profusero Agostino, Tommaso e tanti altri) doveva avere radici ben lontane nel tempo.<%pagebreak()%>La presenza di quattro versioni di vangeli suggerisce piuttosto una loro più veloce codificazione, fermo restando che si possa far risalire la discendenza del secondo e del terzo a quello marciano. Ciò indica per l'appunto che non sia affatto difficile ricodificare un canovaccio in tempi estremamente brevi: viceversa, non si sarebbero riscontrate analogie e copiature piuttosto marcate, che in caso contrario sarebbero state velocemente emendate, anziché sottostare al rischio di parecchie revisioni in seguito, se è vero com'è vero che di versioni ufficiose ne esistessero oltre un centinaio, apocrifi esclusi.

I cosiddetti apocrifi sono in genere anteriori ai "canonici", come nel caso del Vangelo di Tommaso e di tutta la letteratura biblica "pseudo-epigrafica", che spaziano dal 300 a. c. al 50 d. c.; da Melito fino al Codex Alexandrinus (V secolo) erano inclusi nel Canone, ma successivamente si pensò di escluderli gradualmente, completando l'operazione durante il Concilio di Trento (1548).
Ad oggi vige l'idea per cui il termine "apocrifo", introdotto per la prima volta da Geronimo, significhi "falso", laddove ad litteram significa semplicemente "[di senso] nascosto". Il motivo di questa denominazione è facile a comprendersi: a favore di questo stigma ha giocato la gran mole di fantasie scritte da cristiani ortodossi (cioè, i cattolici), che hanno inquinato l'attendibilità di qualsiasi scritto distinto dal cosiddetto canone, malgrado parecchie nozioni della liturgia e dell'ideologia cristiana accettata e divulgata popolarmente dalla Chiesa (dall'assunzione di Maria alle storie sull'infanzia di Gesù ai nomi dei ladroni e persino il Credo degli Apostoli) si rifacciano a tali fonti. Queste ultime, però, non ricevono alcuna critica e continuano a essere accettate dall'inconscio collettivo, per cui la gente non si chiede donde siano state tratte né quale sia il metodo per definire determinate fonti false o vere a seconda dei casi, poiché confida nell'ispirazione degli interpreti del pensiero di Dio. Con lo stesso metodo è stato scoperto e canonizzato giusto un secolo or sono ad es. il dogma secondo il quale Maria assurse al cielo in carne e ossa: per non dire di quello che ha sancito la sua immacolata concezione...

L'esegesi afferma che tali operazioni siano possibili per via del principio della "amplificatio hermeneutica"; ma se così fosse, ciò dovrebbe valere anche e soprattutto per i testi "apocrifi", che non solo aggiungono dettagli in sintonia con l'anamnesi cristologica, ma consonano marcate analogie con le dottrine da cui il cristianesimo attinse... Senza considerare che tale principio, la cui "paternità" va per altri versi attribuita all'eretico Origene, fu già parecchio pagàno!
Curiosamente, questi testi sono detti "apocrifi" nel senso di "falsi" quando si tratta di rintracciarvi analogie preoccupanti, ma sono presi in contegno di documentazione affidabile quando si tratta di convalidare le tesi dei teologi (v. ad es. gli Atti di Pilato); invero, molti di loro sono zeppi di dati preoccupanti, tanto quanto certi scritti d'evidente matrice gnostica e misterica quali la Lettera di Barnaba o il Libro di Enoch, che è stato escluso dal canone occidentale pur essendo stato popolarissimo nelle biblioteche essene. Nondimeno, Enoch fu citato come testo genuino da tutti i Padri della Chiesa unitamente all'Apocalisse di Mosé; al colmo dell'imbarazzo, fu menzionato come genuino persino nella Lettera di Giuda, che è ritenuta canonica e facente parte del Vangelo ufficiale! E cosa potremmo dire, poi, ad es. riguardo al Vangelo degli Ebioniti, che secondo Geronimo costituiva l'originale di Matteo?

Dunque, alle origini il testo cosiddetto pseudo-epigrafo era distinguibile da quello "canonico" solo grazie all'illuminazione divina degli "ermeneuti" che si occupavano della sua "interpretazione" e talora anche della sua "acconciatura".
Vuole il caso che il primo a parlare di vangeli associati agli evangelisti sia stato proprio Ireneo, nel 180-190: curiosamente, già dieci anni prima di lui, Giustino iniziava a citare frasi che verranno riscontrate nei vangeli qualche tempo dopo.
C'è da giurare che le citazioni fossero inadeguate: il vescovo di Lione doveva avere senz'altro accesso a fonti "esclusive", dato che citava due fantomatici passi degli Atti (v. Contro le eresie 3.11.14ss) che oggi non riscontriamo nelle versioni attuali! Inoltre, asseriva che Marco iniziasse il suo vangelo menzionando delle profezie di Isaia (3.8ss): cosa che, ovviamente, non è. Ireneo ci lascia vieppiù perplessi mettendo in bocca a Papia (proprio quel famoso "testimone oculare"!) alcuni passi dell'apocrifo di Baruch, che Papia riferisce come parole di Gesù!
Ma la verità dietro queste stranezze risulterebbe molto meno misteriosa, qualora considerassimo che il dotto Fozio, patriarca di Costantinopoli, nella sua mastodontica Biblioteca così liquiderà Ireneo: "La purezza della verità, con rispetto della tradizione della chiesa, è stata adulterata dalle sue letture false e spurie". Vero è che Fozio poi diventò un "eretico": ma cosa intendeva dire con queste parole severe?<%pagebreak()%>Già due secoli or sono, uno dei maggiori storici del cristianesimo, il pur pacato Johann Lorenz von Mosheim, così asseriva nella sua monumentale Storia Ecclesiastica:

"individui sicuramente all'inizio privi di intenzioni proditorie, composero tutta una serie di scritti densi di falsità [...] che ingenerarono le più grandi superstizioni. E non è tutto: altri fraudolenti imposero dei documenti spurii come scritture degli apostoli".

Il procedimento di cui parlava fu adottato subito per "cristianizzare" testi classici o giudaici, come i Testamenti dei dodici patriarchi, l'Ascensione d'Isaia, il Libro di Enoch o gli Oracoli sibillini; quei cristiani che possedevano un minimo di deontologia e desideravano credere in cose vere anziché in artifici dialettici, iniziavano ad aver parecchio da ridire in merito, giacché non tutti i proseliti — specialmente quelli che avevano abbracciato la fede dopo che le sue basi erano state gittate da ben nove secoli — erano disposti a soggiacere a compromessi al limite della credibilità stessa del cristianesimo. Essi desideravano soltanto verità rispetto alla corruzione del passato: ma naturalmente, non potevano più contrastare una religione affermata, pena la destabilizzazione del sistema. Pertanto, si limitarono a criticare, senza però rinunziare alla fede stessa. In fondo, erano ignari: come si poteva parlare di "verità", se tutto il sistema cristiano era una replica storicizzata ammodernata del passato pagàno?

Molti furono i delusi, e molti furono anche coloro i quali, pur conoscendo la realtà dei fatti, non poterono far altro che condannare retoricamente i colpevoli e dall'altro lato, non potendo revisionare un'immane corpus agiografico né andar contro le lobbies egemoni, indulgere nelle medesime attitudini rielaborative onde spiegare le pacchiane incongruenze della loro credenza. Dall'altro canto ancora, quelli che oramai si erano adagiati sulle comodità, trovavano obbligatorio continuare a perseguire la via del dolo.
Il problema di questa pratica non consiste soltanto in un plagio o in una contraffazione radicale, dal momento che avrebbero potuto semplicemente scrivere una mole spropositata di documenti dal nulla e riproporli come testi genuini: avrebbero potuto farlo perfettamente, dato che detenevano il monopolio dell'informazione.
Il fatto è che i correctores, illusisi anch'essi della storicità di un mito compilato da chissà chi, "rivisitarono" documenti originali: la stessa cosa vale anche per le fonti pagane prediligendo autori ancora noti e affermati, che avevano scritto sui fatti del tempo di Tiberio.

Nel suo vangelo, Giovanni fa dire a Gesù che nel caso in cui egli portasse testimonianza di sé stesso, essa non sarebbe veritiera (5.31); qualche versetto dopo, l'evangelista non si accorge d'aver fatto parlare il medesimo dio in Terra di modo da smentire l'affermazione precedente (8.18).
Non stupisca tale inquietante contraddizione (che i moderni apologisti si sono sforzati di proporre con significati "reconditi"), dacché essa è perfettamente riflessa nella visione posseduta dai portavoce cristiani in merito alla Scrittura, alle sue origini e all'etica con la quale la si accoglieva. Agostino stesso, che non fu immune da giudizi, denunziò l'altrui fraudolenza ne Contra Mendacium e De Mendacio, nel quale ultimo però sottolineava che sia

"legittimo, per chi è impegnato in una discussione di diritto sulle cose eterne, o a colui che narra fatti secolari attinenti a religione e pietà, dissimulare a tempo debito qualsiasi cosa sia opportuno"

A scanso di equivoci, questo è sempre lo stesso "santo" che nel Contra epistula manichaei (5.6-6ss) ebbe a dichiarare che non avrebbe mai creduto nei vangeli nel caso in cui l'autorità della Chiesa non l'avesse costretto a farlo!

"Che male c'è se si dice una grande menzogna per il bene della chiesa? [...] Una menzogna utile, provvidenziale, non è contro dio: egli l'accetterebbe" seguiva l'agostiniano Lutero con la medesima candida malizia del suo amato modello. In fondo, non vedrei per quale motivo le cose non debbano risiedere in questi termini: Origene non aveva forse asserito che anche Dio può mentire per amore (teste la Bibbia)? Sì che il profeta Geremia sospettava l'inganno, rivolgendosi a Dio: "Sarai quindi un mentitore nei miei confronti?" (15.8).

Geronimo, a fasi alterne ripreso proprio dall'Ipponate in merito ("canta la palinodia", gli consigliava il discepolo di Ambrogio), rincarava la dose:

"Per confutare l'avversario, gli esegeti pensano una cosa e ne scrivono un'altra. Origene, Eusebio [ed altri] scrivono parecchio: sovente dicono il vero, altre volte solo ciò che è utile".

Proprio lui, che dopo i primi tentativi di traduzione in latino effettuati forse a Cartagine da altri, ricevette da Damaso l'inquietante incarico di revisionare la Bibbia secondo le necessità dell'ecclesia romana, avendo chiesto una spiegazione al suo maestro, l'origenista Gregorio Nazanzieno, riferiva che

"egli tergiversò, e mi disse: «Lo farò in chiesa; e lì, quando la gente applaudirà, sarai costretto controvoglia a chiedermi ciò che non sai affatto». Non c'è nulla di più facile che gabbare il volgo volubilmente, a tal punto ammira quel che non comprende!".

Con tutta la buona volontà dello Stridonita, sicuramente il povero Origene, per quanti difetti avesse, non può essere certo accostato a un personaggio come Eusebio, che fu persino capace d'ammonire postumamente proprio Origene nel Contro Ierocle, affinché utilizzasse la menzogna come medicina!
Anzi, l'ex discepolo di Sacca (alla cui influenza dobbiamo le successive formulazioni della Bibbia antecedentemente all'opera di Geronimo) fu una delle principali vittime della pratica d'interpolazione; Rufino compose un libro apposito sull'adulterazione delle sue opere, con le aggiunte che ne macchiarono la memoria e la dottrina.
Ancora Rufino si permetteva persino d'ironizzare sul fatto che due eretici come Apelle e Marcione avessero corretto i vangeli con gran fatica, dacché essi erano già stati adulterati da qualcun altro già al loro tempo; e non solo.

Già nel II secolo, Tertulliano ci informava della compilazione di una lettera paolina da parte di un prete orientale, reo confesso, "per amore di Paolo" (v. Sul Battesimo 17); ancora nel III secolo inoltrato, Cipriano, il famoso vescovo di Cartagine, accusò i suoi colleghi di falsificare i vangeli oltre alle sue lettere; stessa cosa aveva affermato Dioniso di Corinto nel 170, per penna di Eusebio.
Qualche anno dopo, la lettera di Gregorio da Nissa contro i pellegrinaggi a Gerusalemme fu presa di mira dai "correttori", che la deformarono secondo vedute personali.
Dulcis in fundo, nel 506 il vescovo Vittorio da Tonena confessava nelle sue Chronicae addirittura che "durante il consolato di Messala, sotto l'imperatore Anastasio, i santi vangeli, quasi scritti da evangelisti idioti, furono corretti ed emendati"!

La cosa più inquietante è che tali operazioni fossero note già ai pagani e a quegli stessi eretici contro i quali i padri tentavano di difendere la benintesa ortodossia.
"I cristiani, come degli ebbri che, presi dai fumi della sbornia, si fanno del male da soli, hanno corrotto i vangeli originarii onde poter controbattere le obiezioni" infieriva Celso.
Il manicheo Fausto da Milevi, avversario di Agostino, aggiungeva:

"Voi avete sostituito l'agàpe ai sacrifici dei pagani; i martiri ai loro idoli [...] come i pagani, tentate di conciliarvi le ombre dell'Ade con vino e feste; celebrate le medesime ricorrenze dei gentili, col calendario, nei solstizi; e così i loro costumi. Nulla vi distingue da loro, eccetto che vi riunite di nascosto [...] I nostri predecessori hanno frammisto molte cose alle parole di nostro signore, che, proposte sotto suo nome, si discostano dalla sua fede [...] e non sono concordi neanche fra loro [...] Tutti sappiamo che i vangeli non sono stati scritti né da Gesù né dai suoi apostoli, ma da sconosciuti, e molto tempo dopo che essi vissero; costoro, pensando bene che nessuno avrebbe creduto loro se avessero parlato in merito a cose cui non avevano assistito in prima persona, narrarono quei fatti con i nomi degli apostoli o dei discepoli di Gesù".
<%pagebreak()%>Dopo i primi tre secoli fondamentali nei quali si sviluppò il Canone (omettendo i Decretali e altre fabbricazioni medievali), la "correzione" si manifestò in maniera massiccia dal V al X secolo, procedendo di pari passo con la redazione di ameni favolastri come la Leggenda Aurea, le lettere di Paolo a Seneca, i volumi di corrispondenza tra Maria e Ignazio d'Antiochia, la favola di Giuseppe il falegname, il Pastore d'Erma, i centoni e altra letteratura digressiva, compilata nel più puro spirito del documentarismo popolaresco di matrice ibrida ellenizzata.
Dal Textus Receptus alla versione odierna dei vangeli, la Revisionata e la Nuova Revisionata compilata nel 1990, all'"immutabile parola ispirata da Dio" sono state apportate una gran mole di variazioni più o meno ponderali: Matteo (1.25, 8.29, 16.20, 17.20, 20.16, 21.12, 25.13, 27.35), Marco (1.2, 6.11, 10.21, 10.24), Luca (1.28, 2.14), Giovanni 7.39, Atti 6.8, e parecchi ancora.
Da Sisto V a Clemente VIII, altri fecero la loro parte, giungendo al punto di stravolgere pressoché del tutto anche il senso di certuni passi biblici (ad esempio Esodo 3.5) e "conformare" l'intera lista dei comandamenti mosaici.

Certo, possiamo capire che chi emenda simili "sviste" sia assuefatto alla lettura di interi tomi, mentre il pio fedele si accontenta semplicemente d'accogliere l'emendamento in buona fede, senza chiedersi cosa dica l'originale né se vi siano differenze da edizione a edizione. I "professionisti" non possono sbagliare né essere del tutto in buona fede: sanno già "tutto quanto" riguarda le scritture, e probabilmente non possono criticarle con animo sereno. L'importante è che il Feticcio scritturale sia presente negli scaffali d'ogni casa rispettabile, a segnacolo di riconoscimento dell'uomo probo: che proprio agli "esperti" si rivolge per rassicurarsi della "certezza" di Dio!
Se poi il Codice di Diritto Canonico sancisce pene "variabili" per la manipolazione delle sacre scritture (c. 1390), chiaramente l'appello non avrà alcun valore qualora il giudice è il Vaticano e l'imputato la stessa Curia... Come avrebbe dovuto accadere ad es. nel caso di alcune aggiunte ex novo al libro dell'Ecclesiaste, quali il 25.21, che non esiste in alcuna versione originale ufficiale precedente edita dalle stamperie vaticane e il cui senso è stato per giunta invertito nelle ultime due versioni rilasciate (CEI 74 e Paoline 78).
Ma gli "addetti ai lavori" possono dire di tutto: ad es. che esistono originali "riservati" che non possono essere visionati da nessuno ed i cui passi sono stati "integrati" nelle Bibbie di vecchia data solo oggi, "quando i tempi sono più maturi".
La gente non andrà a chiedersi come mai codesti "originali riservati" escano fuori oggi, né se la Chiesa custodisca tanti altri documenti importantissimi e ignoti alle masse.
Fortunatamente (o fortunosamente?) quest'ultima ammette che i vangeli siano stati manomessi varie volte nel corso dei secoli: nell'occasione del definire la questione delle cause dell'antisemitismo, Wojtyla ha asseverato e insegnato che

"i vangeli sono il frutto di un lavoro redazionale lungo e complesso [...] Non è quindi escluso che alcuni riferimenti ostili o poco favorevoli agli ebrei abbiano come contesto storico i conflitti tra la chiesa nascente e la comunità ebraica. Alcune polemiche riflettono le condizioni dei rapporti tra ebrei e cristiani che cronologicamente sono molto posteriori a Gesù" (L'Osservatore Romano, 14 aprile 1997).

Pare dunque evidente che i miracolosi casi biblici di anacronismo siano confluiti nella tradizione neotestamentaria, sebbene il pontefice non ci spieghi l'accorrenza di una tale assimilazione né precisi da parte di chi siano state commesse delle adulterazioni...
Certo è che la Chiesa rimarrà comunque immune dal dubbio e dalla colpa: il colpevole sarà stato ancora qualche suo "figlio", come il Vaticano si è già affrettato a precisare in merito ad altri delitti, compiuti "in nome di dio" nel corso di ben venti secoli.
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