Le storie più falsate sono quelle che crediamo di conoscere meglio, e che per tal motivo non scrutiniamo né obiettiamo mai.
.. Stephen J. Gould.
Come premesso, di là dalle sorgenti evangeliche definite canoniche (peraltro già abbastanza discordi tra loro su parecchi punti), e tralasciando gli apocrifi e la predicazione di Paolo (che in ogni caso non fornisce alcun dato significativo sulla vita e le opere del suo presunto mandante), non esiste nessun'altra fonte biografica indipendente su questo "Gesù di Nazareth": anzi, potremmo addirittura dire che, al confronto, pure quelle lettere paoline giudicate spurie dalla stessa chiesa sono storicamente genuine!

Nondimeno, l'evidenza induce a far pensare che i vangeli possiedano un centro di simmetria abbastanza labile, per non dire inesistente, con buona pace di teologi acrobati come Michel Clévenot, il quale ebbe ad asserire tertullianamente che proprio "l'incredibile libertà con cui gli evangelisti osano contraddirsi tra di loro" attesterebbe l'unicità di Gesù, anziché sconfessarla. Dal canto suo, con l'improntitudine proverbiale dei "Soldati di Gesù", a suo tempo il gesuita Brors ebbe l'ardire di dichiarare senza alcun rossore:

"Dove si trova mai una personalità la cui esistenza sia storicamente garantita come quella di Gesù? Allora possiamo trasformare in mito anche un Cicerone, un Cesare, persino il «grande Federico» e Napoleone: nemmeno la loro esistenza è garantita meglio di quella di cristo!".

A prescindere da Cesare, la cosa sarebbe fattibilissima, se non fosse che in proporzione tutta la critica in merito a questi personaggi non costituisca nemmeno un decimo di quel che gli esegeti dell'idolo cristiano hanno saputo imbastire per obliterare la pochezza delle fonti dirette, e che per certuni è una concausa del crederlo storico! Non penso proprio che l'attendibilità di una fonte possa essere direttamente proporzionale alla sua diffusione (se così fosse, Livio dovrebbe essere automaticamente ritenuto una fonte inattendibile...); del resto, se proprio dovessimo legare a doppio filo quantità a qualità, credo che nemmeno un numero quadruplicato di copie dei vangeli sarebbe sufficiente a controbilanciare, ad es., lo spessore letterario e documentario della sola Odissea o delle cronache di Tacito!

Karl Popper ci avverte del fatto che un testo, sacro o profano che sia, non possa mai esser confermato da concordanze con fatti storici o da riscontri archeologici, ma può essere sconfessato da discordanze: che nel caso dei vangeli non mancano di certo. Un chiaro esempio per tutti è costituito dalle genealogie fornite da Matteo e Luca, per giustificare le cui incongruità si sono avvicendate svariate generazioni di teologi e storici, risolvendoci null'altro che il ridicolizzarsi a vicenda. Nella sua opera omnia, Eusebio cercava di cavarsi d'impiccio citando fonti "autorevoli" come Africano, dicendo che una era stilata "secondo natura, l'altra secondo la legge": ma l'evidenza intrinsecamente chiara è che si tratta semplicemente di genealogie simboliche che non necessitano qualsivoglia tortuosa disquisizione apologetica. Inoltre, nella storia ufficiale non si registrano né la strage degli innocenti né il censimento che sarebbero avvenuti al tempo della nascita di Gesù, e in special razione il legato Quirino citato da Luca arrivò in Siria solo dieci o undici anni dopo: tutta la documentazione proposta dagli esegeti al fine di certificare che conseguì il mandato per più di una volta, è stata variamente demistificata.

Venendo agli esempi geografici, la cosa si fa ancor più preoccupante. Tralasciando momentaneamente città fantasma come Magdala, Arimatea, Betania, Betsaida e Nazareth, a titolo aneddotico è gustoso quanto raccontatoci ne Mc. 5.13: Gerasa, che comunque si trovava nella Decapoli, fra Galaad e Perea, dista cinquanta kilometri dal Mar di Galilea, sul Yabbok... la qual cosa implica che i poveri suini si sarebbero scapicollati giù per una scarpata di ben 500 metri! Per tal motivo, Matteo (contraddicendo Marco come suo uso), forse più familiare con la geografia del luogo la permuta con Gadara, che per inciso si trova ad una decina di kilometri dal mare, nel Gilead: è andata a finire che altre traduzioni tarde la chiamino Gergesa, probabilmente perché questa è proprio sul mare, fra il Golan e Geshur!

Rimanendo in tema, ancora Marco ci dice che la compagnia, partita da Tiro per arrivare al Mar di Galilea (a sua volta ad altrettanta distanza nell'entroterra), passò per Sidone, ovvero a una trentina di kilometri abbondanti da Tiro stessa: il che porta il tutto ad oltre cento kilometri di fidippidea maratona andata e ritorno (forse per andare a trovare suo padre, il soldato Pantera, originario di Sidone...).
Simili costruzioni non sono nuove in mitografia, se osserviamo ad esempio che il redattore dell'epos di Gilgamesh faceva effettuare ai suoi eroi un percorso di svariate migliaia di kilometri da Uruk al Libano in pochi giorni, per uccidere Humbaba; ed è anche curioso il fatto che il mostro vivesse alle pendici dell'Hermon, il bosco sacro di Ishtar, ove Gesù investe Pietro del primato della chiesa prima di chiamarlo Satana (1), e dove erano discesi i nephilim, come narrano i testi enochiani (che ci parlano anche di Azazel, il capro espiatorio del doppio sacrificio yom-kippuriano).

Queste ed altre aporie sono facilmente spiegabili, poiché gli stessi evangeli sono frutto d'elaborazione tarda, in quanto fino al 170-190 erano fisicamente ignoti; certi esegeti della prima ora dissero addirittura che si basassero sul sentito dire! Giustino, il più erudito degli antichi padri fondatori della chiesa arcaica insieme a Geronimo e Origene, scrisse intorno al II secolo facendo più di trecento citazioni dall'Antico Testamento ed un centinaio nientemeno che dalla letteratura apocrifa, ma neanche una virgola dai vangeli canonici: sembra come se i nomi degli evangelisti gli fossero ignoti, dacché non ricorrono in nessuna pagina dei suoi scritti. Eppure, è lo stesso Giustino che fa dire a Trifone (ebreo) d'aver letto bene i vangeli! Ma sicuramente si tratta di un passo di mano assai tarda: del resto, fino a cento anni dopo Tiberio, né Atenagora né Taziano né Teofilo d'Antiochia parlarono mai dei vangeli o di Gesù, ed anzi l'ultimo di questi tre apologeti faceva risalire l'origine del cristianesimo allo Spirito Santo, non ad un predicatore fondatore!

È chiaro che, volendo essere concessivi, non è l'essere un prodotto tardo a renderli inattendibili: ma si deve annotare anche che essi apparvero ex abrupto, senza una tradizione né una concordia in merito, e che la stessa evidenza cronologica espunta tramite le datazioni scientifiche lasci parecchio a desiderare, al punto che se era esistita una qualche tradizione orale, questa stessa non fu certo contemporanea a Gesù.
I vangeli attuali così come li leggiamo oggi (più o meno...), nacquero solo dopo il 533, a seguito del Concilio di Costantinopoli: i manoscritti più antichi del cosiddetto Nuovo Testamento (denominazione introdotta solo dopo il 223, come attesta Tertulliano) sono il Papiro di Magdalen, del 64 (2), il P-Egerton II, del 142, ed il 7Q Qumran, seguiti dai papiri Fayyûm Vind. G2325 e Ossirinco 1224-802; a parte questi, tutti gli altri sono non più antichi del III secolo, come quel minuscolo frammento di soli diciassette versi noto come P-52 Ryland e tutta la collezione Chester Beatty.
Il risultato è che possediamo oltre ventimila frammenti o testi evangelici più o meno completi, tutti rigorosamente non antecedenti la prima metà del II secolo, al punto che lo stesso apocrifo Vangelo di Tommaso è addirittura più antico di quelli canonici, e a livello di rilevabilità appare molto vicino alla struttura del cosiddetto Vangelo Q.

D'altro canto, a parte le componenti mitologiche già analizzate, dati gli errori a carattere storico, geografico, politico, etnografico presenti nei vangeli, v'è seriamente da dubitare che si tratti della cronaca d'eventi effettivamente incentrati su una figura storica, e soprattutto elaborati da scrittori locali. In effetti, contrariamente a quanto costituisce opinione diffusa, tutto quanto d'ebraico potremmo trovare nei vangeli è frutto di interpolazioni abbastanza tarde o di intromissioni tanto libere quanto marchiane perpetrate da chi li compilò, cosa che è molto ben visibile già a partire dalla loro prevalente discordanza di dati.

È ovvio che, riunendo più "specialisti", sia possibile dimostrare anche che gli asini (di Balaam...) parlino, o in certi casi scrivano pure: ma la storicità di un documento non lo rende automaticamente verità divina o viceversa. Quando poi il documento è intrinsecamente impreciso, quegli studiosi che per elezione dovrebbero essere scevri da qualunque preconcetto potrebbero far di meglio che puntellarsi reciprocamente su di esso: ma è altresì chiaro che qualsiasi tentativo di didascalia esegetica su dei puri miti non possa essere affatto degno di nota, poiché verterebbe sul tentativo di salvaguardare e mantenere in vita apparente una superstizione e la società che ne è espressione.<%pagebreak()%>"Il vate è un ebbro: l'uomo di dio è un invasato" diceva il profeta Osea; non possiamo biasimarlo. Le pretese di convalidare una vicenda successiva tramite "profezie" antecedenti, per giunta incluse nel "libro sacro" dei "deicidi", sarebbero men che risibili, qualora non intervenissero il complesso di colpa di blasfemia e l'allucinazione collettiva del supernaturale. Tutte le profezie sussistono solo nella comodità di chi scrisse col senno di poi, e, problemi d'interpretazione a parte, nessuna ha ragione d'essere: per giunta, sono state interpretate male.

Bontà sua, Origene parla di "migliaia di passi" che profetizzano il cristo, ma a parte queste spigolature nessuna profezia biblica parla del messia quale figlio di dio, anche perché tale definizione si presta piuttosto ad un vasto raggio di attribuzioni: piuttosto, questa è un'idea scaturita dalla tarda associazione fra il Logos e il concetto di messianesimo spoliticizzato e riproposto come viatico per la salvezza dell'anima.

Se un messia simile è dovuto ad una libera interpretazione dei cristiani, allora, al fine di convalidarlo storicamente non si può dire che si tratti di un format ebraico, tantomeno nel caso in cui si trattasse di un cliché desunto impropriamente dall'ebraismo. Tutt'al più, i documenti potranno asseverare che i dati storici (semmai ve ne sono) siano veridici, ma non certo convalidare che un invasato, non primo né ultimo di una lunga serie, sia il figlio di un dio che, non primo e non ultimo di tanti altri, in realtà è semplicemente il frutto di comuni processi psichici proiezionali. In fondo, se Sparta piange, Atene non ride: dato che, a giudicare dalla mole sterminata di oracoli biblici mai verificatisi, Yahvéh stesso è più che fallibile, non si vede perché mai non debba esserlo suo "figlio".

Matteo (21.4-5) e Giovanni (12.14-15) insistono sul fatto che Gesù soddisfi a Zaccaria 9.9: sennonché, questa benintesa profezia era relativa ancora a un messia politico avversario degli assiri. Per non dire che, citando il verso successivo di Zaccaria al 27.9, il compilatore lo attribuisce erroneamente a Geremia. Mt. 15.21 contraddice Ezechiele 26.14-21; il versetto 2.5-6 pretende di poter far credere che l'oracolo sul nato a Bethleem sia stato ricavato da Michea 5.2, malgrado questo passo biblico si riferisse piuttosto ad un messia politico del clan di Bethleem, cioè il figlio di Efratah, seconda moglie del fedele seguace di Giosué, non ad un nato a Bethleem di Giudea. Ancora Matteo vuol credere che Ger. 31.15 si riferisca alla strage degli innocenti (2.17-18), mentre il passo in questione richiamava piuttosto la cattività babilonese, com'è chiaro dai versi successivi.

Simili refusi non sono esclusivi dello scritto "matteano". Mc. 1.2 attribuisce Malachia ad Isaia, ne 2.26 scambia Abiatar con Abimelech e ne 10.19 cita erroneamente i dieci comandamenti, aggiungendone uno optional, assai sintomatico: "Non frodare". Ne 11.12-13, lo scrittore cita Zaccaria ma attribuisce la citazione ancora a Geremia; stesso dicasi per 27.9-10, ancora Geremia al posto di Zaccaria, stavolta a proposito del tradimento di Giuda e del Campo del Sangue. Tali conclusioni dissentono dal "testimone oculare" Papia — che con una lacrima di serietà ci racconta il modo in cui il corpo di Giuda fu stritolato tra due carri — e dagli Atti, secondo i quali fu Giuda stesso a comprare il campo: le note di parecchi vangeli odierni cercano di mistificare il problema parlando di "citazioni accostate"...

Al 7.38 di Giovanni, Gesù stesso cita delle fantomatiche scritture, ma nessuna parafrasi del genere esiste nella Bibbia, così come la profezia de "nessun osso gli verrà spezzato" al 19.36; non serve sottolineare che le abusate allusioni ai Salmi non c'entrano niente neppure in questo caso, poiché sono solo generici rituali d'invocazione in chiave poetica, e neppure Esodo 12 ha alcunché da spartire con ciò. Ed ancora, asserendo che Maria fosse già incinta prima di sposare Giuseppe, Matteo contraddice Luca: poi aggiunge che il centurione fosse venuto di persona a chiedere la guarigione del servo, mentre il secondo riporta che avesse inviato dei servi a farlo. Giovanni asserisce che le donne stessero ai piedi della croce sul Golgota, mentre Matteo afferma che guardavano da lontano, e v'è persino discordanza nel numero di donne sia qui che nel caso della visita alla tomba; differenti sono le ultime parole di Gesù sulla croce, riportate solo in tre dei vangeli. Mc. 6.41-44 parla di cinque pani, due pesci, dodici cesti e cinquemila affamati, mentre un paio di versetti dopo qualcun altro ci parla di sette canestri e quattromila satollati dal miracoloso pasto; sempre Marco dice che il Battista fu incarcerato dopo la chiamata di Andrea e Pietro, mentre Giovanni afferma il contrario; Matteo dice che Gesù fu condotto prima da Caifa, Giovanni da Anna. E così via.

Oracoli ed aporie a parte, negli scritti notiamo pure l'intermissione di scene, frasi e personaggi che esuberano abbondantemente dal primato del liminare evangelico, sempre secondo il medesimo spirito rielaborativo che riscontriamo per la Bibbia. Ad esempio, la famosa regola aurea è stata formulata da Confucio mezzo millennio prima di Gesù e ripetuta al tempo di Bar Kochab da parte di rabbi Akiba, senza alcuna allusione a messia "cristiani": del resto, essa stessa proviene dal Levitico, ed era già nota agli esseni. Locuzioni del tipo "noi abbiamo suonato, voi non avete ballato", oppure "dove vi sono cadaveri si radunano avvoltoi", sono delle frasi fatte già note da tempo alla classicità, non certo le parole di un savio palestinese: troviamo la prima quasi ad litteram nel Pescatore col flauto di Esopo, che precedette gli evangelisti di circa mezzo millennio anch'egli, mentre la seconda appare già in Seneca, Luciano, Claudio Eliano, Lucano e Marziale.

Matteo 6.26 ricalca il quindicesimo discorso dello stoico Musonio Rufo, vissuto al tempo di Nerone, mentre nella Vita di Tiberio Gracco, scritta poco dopo le campagne di Adriano, lo stoico Plutarco riporta la concione del mitico tribuno romano con queste parole:

"Gli uccelli e le bestie dei campi hanno i loro nidi e le loro tane, ma gli uomini che combattono per l'Italia possiedono soltanto la luce e l'aria aperta [...] Voi siete padroni del mondo, ma non possedete una zolla di terreno su cui poggiare i piedi!".

È quantomeno un'analogia singolare il fatto che Matteo 8.20, replicato in Lc. 9.28, metta in bocca a Gesù quasi le medesime parole.

Quanto ad altro, la pagliuzza e il trave di Luca e Matteo li abbiamo già nel Satyricon petroniano quasi con la medesima costruzione del passo evangelico: non mi stupirebbe se, dall'inizio alla fine, l'opera omnia del grande Arbitro d'Eleganza, morto all'incirca nello stesso anno di Paolo e già proconsole di Bitinia prima di Plinio junior, sembri rievocare un continuum dai vangeli agli Atti. Si parte dalla famosa "ultima cena" del barabbas Trimalcione, aperta da una bouvette zodiacale e chiusa in un litigio coniugale con un'unzione di nardo prima del canto del gallo, passando per la "cacciata dal templio" (sic) di Eumolpo, per finire con la cattura dei due amanti, rapati come il Tarsiota, che poi naufragano a Crotone, ove furono sterminati i seguaci di Pitagora. L'evento è intervallato dal macabro racconto della vedova di Efeso e concluso col supplizio di stile massiliense del filosofastro, che lascia in eredità i suoi beni fittizi a chi mangerà le sue carni.

Non mi stupirei dell'ennesimo riferimento "subliminale" al pitagorismo: infatti, la famosa scena dei 153 pesci è già stata citata a proposito del "miracolo" di Pitagora, che aveva predetto ai discepoli la cattura di un esatto numero di pesci, come narrava Porfirio. Questo numero, per inciso, era sacro ai pitagorici, ed equivaleva alla ratio matematica illustrata con il simbolo chiamato "vesica piscis"; ovverosia, proprio quel medesimo simbolo col quale i cristiani di riconoscevano fra loro in segreto.

(1) Forse anche questo è un gioco di parole: Shatan era pure il nome dato al vento chiamato Simùn.
(2) Questo secondo la datazione del papirologo freelance Carsten Thiede, sortita dal nulla nel 1994 assicurandogli fama e altre soddisfazioni. Il Papiro di Magdalen (P-57 o Mgd MS G-17), oggi custodito nell'università da cui prende nome, fu scoperto nel 1901 da padre Charles Huleatt, dettaglio che Thiede ignorava, al pari dell'esistenza di altre due copie del reperto, a Barcellona e Parigi; è un minuscolo frammento di pochi centimetri, un draft di Matteo, già datato al III secolo sin dal 1953 e corroborato ad oggi presso vari istituti con tutti i metodi di datazione, che Thiede, uno dei pochi a dissentire dall'opinione accertata di una cinquantina di studiosi, non ha mai effettuato.
Nel bestseller che seguì l'anno successivo, Thiede asseriva assai sintomaticamente che le datazioni proposte per oltre cento anni fossero inficiate dai "preconcetti anti-sovrannaturali della moderna critica". Nello stesso anno, K. Wachtel, dell'Istituto per le Ricerche sul Nuovo Testamento a Münster, ed H. Vocke nonché G. Stanton di Cambridge, studiosi ben più accreditati e non certo compromessi da preconcetti anti-sovrannaturali, hanno demolito la sua supposizione, che nonostante ciò continua a scalzare nell'opinione pubblica le attestazioni di ricercatori più alcalini. Ma pur volendo assecondare Thiede prendendo per buona la sua datazione, siamo comunque ancora molto lontani da documenti realmente contemporanei.
A titolo di curiosità, Thiede è anche famoso per aver autenticato, insieme ad altri studiosi co-religionari, il cosiddetto Titulum Crucis, la placca inchiodata sulla croce di Gesù trovata a Gerusalemme insieme ai veri chiodi della crocefissione da parte di Elena, madre di Costantino; non è comunque dato a sapersi di quale placca si tratti, dato che ciascun evangelista riporta differenti parole in merito alla frase scritta su di essa.
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