Il sangue di san Gennaro è uno dei classici dell'agiologia miracolistica reliquiaria. Da oltre cinquant'anni è noto che questa reliquia non abbia alcunché di trascendentale, malgrado l'immaginario popolare le attribuisca il potere di prevedere gli eventi dell'anno seguente.Tutto ciò ha quantomeno del curioso: se da un lato nulla sappiamo circa la vera composizione del contenuto, d'altronde gli stessi dati storici in merito al santo cui appartenne questo beninteso fluido vitale sono assai nebulosi.

Nella leggenda popolare, Gennaro fu martirizzato a Pozzuoli durante periodo d'auge di Diocleziano, quantunque nemmeno la chiesa sia riuscita a scoprire alcunché sulla sua figura storica; nella realtà dei fatti, com'è noto oramai da due secoli, Gennaro (lat. ianuarius, "gennaio") altro non è che la versione cristianizzata di Giano, il dio bifronte romano che fra le altre cose incarnava il passaggio dall'anno vecchio a quello nuovo. Il caso pare assai simile a quello della recentemente discanonizzata Filomena, la santa nata da un "umano errore d'interpretazione" perpetrato nella lettura di una frase scritta su una mattonella delle catacombe di santa Priscilla, accanto alla quale fu scoperta un'ampolla contenente del sangue: "Lumena pax tibi fi", frase che venne "palindromizzata" in "Pax tibi, Filumena".

Venendo al discorso, il preteso sangue di Gennaro, che quando non si trova "in stato di grazia" ha la consistenza d'un grumo solido, è contenuto in un'ampolla sigillata, e cambierebbe addirittura peso durante la cerimonia ostensoria. L'evento viene mandato regolarmente on-air sin dal 19 agosto 1389, anno in cui un anonimo regalò l'ampolla alla chiesa e si verificò il primo caso di liquefazione, di preferenza in due giorni dell'anno, il sabato precedente alla prima domenica di maggio ed il 19 settembre, data del beninteso martirio, ma la liquefazione non avviene sempre: occorre pregare. Ovviamente, qualora non accadesse nulla nonostante gli sforzi dell'orante, il sangue di san Gennaro non perde comunque la sua validità di sacra reliquia: il fedele potrà sempre dire di non essersi impegnato oppure d'aver commesso qualche peccato.

Il caso napoletano non sembra costituire un mistero vero e proprio, di là del sospetto diniego ad analizzare il contenuto; certo è che la specifica natura di questa reliquia richiami degli episodi abbastanza simili, la cui supernaturalità è oramai un ricordo. A parte certe trovate bibliche ed evangeliche come la trasformazione dell'acqua in sangue (o vino) e le piogge di sangue, simili fatti ricordano molto da vicino il "miracolo di Bolsena", che costituì una delle "pezze d'appoggio" per l'ennesima persecuzione dei giudei, sospettati di maledire le ostie comunionali.

Nel 1263, mentre fervevano le discussioni teologiche sulla presenza o meno di Gesù nell'ostia consacrata, un frate boemo che si trovava in Italia per un pellegrinaggio vide sanguinare un'ostia. Immediatamente il papa proclamò la festa del Corpus Domini; l'ostia insanguinata fu intesa come un miracolo che corroborava la "transustanziazione". Nel 1264 Urbano IV promulgò una bolla che sanciva la festa del Corpus Christi, ordinando anche la costruzione di una cattedrale ove stipare le reliquie; in mancanza di media più evoluti, il miracolo di Bolsena fu poi propagandato dagli affreschi di Raffaello al Vaticano.

Casi analoghi non furono unici così come non lo è quello partenopeo, e si verificarono quasi tutti in estate: ostie sanguinanti a Parigi (1290), Bruxelles (1369, 1379), Wilsnack (1383), Sternberg (1492), Berlino (1510); sangue su un dolce a Stennwitz (1693); sangue su del pane a Chalons (1792); addirittura su della polenta, a Legnaro (1819). Il fenomeno del sangue sui cibi comprende comunque una documentazione storica di oltre ottanta casi noti a partire dal 332, quando i soldati del Macedone durante l'assedio di Tiro furono terrorizzati dalla comparsa di "sangue" sul loro pane: ovviamente, questi fatti non possedevano l'appointment del divino, dato che accadevano fuori dalla chiesa. In realtà, in nessuno di questi casi v'era alcunché di supernaturale.
I fatti di Legnaro favorirono dei lumi per merito del sacerdote Pietro Melo, il quale, inviato dalle autorità per indagare su questo caso di possibile "infestazione diabolica", grazie al suo bagaglio in farmacistica potè asserire che la sostanza rossa fosse piuttosto un banale prodotto di fermentazione. L'università di Padova incaricò delle indagini una commissione scientifica parallela: Vincenzo Sette, medico di Piove, concluse che si trattava di una muffa che cresce bene in ambienti umidi e caldi. Nel frattempo, il farmacista Bartolomeo Bizio, una volta studiato indipendentemente l'argomento, riconobbe la presenza di un microrganismo, che fu anche in grado di riprodurre, battezzandolo serratia marcescens, perché marcisce e si decompone velocemente in una massa rossa d'aspetto mucillaginoso.

Nel 1848, a Berlino, indagando su casi analoghi, Christian Ehrenberg fu in grado d'osservare per la prima volta il microrganismo, riconoscendo che le condizioni necessarie al suo sviluppo (un substrato ricco d'amido e non troppo acido, com'erano le ostie nel medioevo, ed un ambiente caldo ed umido) ben si adattavano al caso di Bolsena; d'altronde, la maggior parte di questi "miracoli" s'erano verificati in estate, in epoche storiche in cui le scarse condizioni igieniche favorivano questo tipo di contaminazioni. Oggi la studiosa americana Johanna Cullen è riuscita a riprodurre il "miracolo di Bolsena" in laboratorio.

Sia come sia, pur non obiettando che il sangue di san Gennaro possa contenere (fra le altre cose) anche percentuali di sangue vero, le ricerche di tre chimici italiani si sono focalizzate sulle proprietà tissotropiche di certi composti che cambiano stato a determinate condizioni; in particolare, per quel che riguarda la peculiare pigmentazione, quelli a base di cloruro ferrico, un sale contenuto anche nella molisite della lava vesuviana. Pur se non riescono a spiegare in tutto le variazioni del contenuto dell'ampolla, ad ogni modo i gel tissotropici (in questo caso composti essenzialmente da gesso, acqua salata e cloruro ferrico) si avvicinano parecchio alla soluzione del caso, in quanto soddisfano ampiamente alle proprietà della "reliquia", il che è già molto, dal momento che non è mai stato permesso a nessuno d'analizzare il contenuto del flacone.

Tutto ciò spiegherebbe anche come mai il caso specifico non sia unico: ricordiamo le reliquie del sangue di santo Stefano (monastero delle clarisse in Piazza del Gesù), di san Giovanni e san Lorenzo (chiesa di San Gregorio Armeno), di Luigi Gonzaga e san Pantaleone (chiesa del Gesù Vecchio); neppure la liquefazione di queste ed altre reliquie custodite nelle cappelle private di alcune ricche famiglie gentilizie si ripete a date regolari. Dall'altro lato, va da rimarcarsi che nell'abbazia di san Basilio, a Brugges, fosse custodito un contenitore similare, che ospitava nientemeno che il sangue di Gesù: il contenuto, identico a quello napoletano in condizioni normali, si scioglieva regolarmente ogni venerdì dal 1148 al 1313, anno in cui — dice la leggenda — il miracolo cessò di manifestarsi perché "un ladro bestemmiò".

Per quanto riguarda il peso, citando il matematico Roberto Vacca, la cosa è lungi dal poter essere comprovata in maniera speculativa:

"Su Civiltà Cattolica del 2 settembre 1905 un articolista sosteneva che il sangue di san Gennaro contenuto in una boccetta di vetro sigillata all'interno di una scatola d'argento chiusa, durante il miracolo cambiava di peso da 987 a 1015 grammi (circa il 2,75%). Il 14 settembre 1905 il quotidiano di Genova Il Lavoro pubblicò una lettera in cui il matematico Giovanni Vacca (mio padre) sfidava i gesuiti a pesare in pubblico quel sangue per constatare se cambiasse o no di peso per via delle loro preghiere. La prova non fu mai fatta. Alcuni credenti risposero vagamente su altri giornali che già certi professori dell'Università di Napoli (rivelatisi inesistenti) l'avevano eseguita con successo. I miracoli sembrano tali fin quando non si eseguono controlli".

Il problema risiede nel credere, e non consiste soltanto nel deliberato marketing filo-ecclesiastico promosso bona fide o meno; il caso di san Gennaro appartiene piuttosto ai classici "segreti di pubblico dominio" che si possono anche sapere, ma di cui non si deve far menzione in maniera critica, perché i devoti di san Gennaro, al pari di qualsiasi fedele del profondo sud del mondo (nel senso di luoghi altamente cristianizzati e oltremodo penalizzati), provano un amore viscerale per attestazioni di "divinità" del genere.

Ad esempio, la "pietra di Pozzuoli", ritenuta il ceppo su cui il fantomatico santo fu decapitato, presenta tracce di macchie rosse, che secondo i creduli trasuderebbero in concomitanza al miracolo che avviene a Napoli; per secoli la gente ha giurato che in quella cavità accadesse qualcosa d'inspiegabile, ma oggi, come se nulla fosse mai stato, la chiesa stessa assicura che la pietra sia in realtà un altare paleo-cristiano di due secoli posteriore alla presunta morte del martire, e che la cavità contenga soltanto tracce di vernice rossa e di cera. La voglia di credere impedisce comunque di collegare fatto a fatto.
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