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Un profeta è, come dice la stessa etimologia del termine, un individuo che parla al posto di qualcun altro, preannunziandone la volontà; nel caso specifico, tradizionalmente dicesi "profeta" un uomo che parla in vece di dio. Tanto accade evidentemente perché l'Essere Supremo è impossibilitato ad interloquire direttamente con le sue inferiori creature, né gli è possibile mostrarsi all'uomo, poiché chiunque guardi dio faccia a faccia corre pericolo di vita, dice la Bibbia: ecco spiegato perché tutto ciò che i divini portavoce riuscivano a cogliere della misteriosa divinità, era (ed è) soltanto la voce...
Il profeta ha sempre avuto delle caratteristiche riconoscibilissime: accento tonante, vocabolario aspro e spietato, occhi di bragia, sprezzo delle percosse... il tutto omologato ad un aspetto sordido e trascurato, dovuto ad una dieta prevalentemente costituita da bacche, radici, miele, locuste ed altre delikatessen. Questo almeno per quegli sfortunati che non potevano usufruire di colombe, corvi od altre bestiole, inviate da Dio per nutrire il profeta arroccato nelle solitudini dei deserti, dove la riservata divinità gli si mostrava lontano da occhi e orecchie meno nobili, per comunicargli le ennesime rampogne contro un'umanità eternamente peccatrice... O perlomeno, queste erano le caratteristiche precipue dei più famosi profeti ebraici, come ad esempio Ezechiele, Isaia, Osea, Amos e Giovanni il Battista; quelli "pagani" ci tenevano di più alla loro persona, e godevano di maggiori favori da parte della gente comune.
Ma d'altro canto, a ben pensarci, potrebbe anche darsi che quelli ebraici non fossero poi dei veri profeti, dato che Yahveh stesso, nel Deuteronomio, si premurò di definire una regola per smascherare quelli falsi; ed è una sfortunata coincidenza che proprio il latore di tale norma non avesse azzeccato parecchie previsioni (senza incorrere però nella giusta ira divina...). Comunque sia, parecchi profeti cercavano di giustificare la loro fallacia asserendo che Yahveh cambiasse idea molto di frequente; altri -- forse meno rispettosi e timorati -- sospettavano che il dio mentisse deliberatamente, sicché non possiamo biasimare Gedeone per aver messo alla prova la sua parola. Gli esegeti cristiani, più "evoluti", notarono il preoccupante dettaglio, ma giustificavano prontamente il "Creatore", dicendo che mentiva "per amore"...
Il caustico Isaia, primo dei "profeti maggiori", che preannunzia la distruzione di Damasco e di Babilonia, la caduta di Tiro per mano dei babilonesi, il prosciugamento del Nilo o una storica alleanza fra Israele, Egitto e Assiria, o nientemeno che la conversione dell'Egitto al yahvismo, non è un vero profeta, perché queste predizioni non si verificheranno mai: nè lo è il secondo, Geremia, che è addirittura il portavoce della minaccia di punizione dei falsi profeti (14.15)! Costui, dopo aver rimproverato agli scriba d'aver redatto una Legge piena di falsità, predice addirittura l'espansione universale del giudaismo accodandosi al precedente sulla distruzione definitiva di Babilonia: vero è che gli odierni epigoni di David si stiano adoperando per adempiere a tutti i costi agli oracoli di Geremia, ma dubitiamo che il maestro di Baruch si fosse spinto così avanti nel tempo, specie se consideriamo il livello d'affidabilità del suo Dio!
Difatti, a sentire la Bibbia, lo smemorato Yahveh avrebbe incaricato nientemeno che Nabucodonosor di punire gli ebrei, ma successivamente preannunzia per bocca del profeta che provvederà a castigare il sovrano per aver osato tanto! Poi, sulla scorta di quanto capitato ad Acaz e Giosia, il dio mente a Zedecia a proposito della sua morte: indi sentenzia che nessuno abiterà mai più né Azor né Babilonia (il che non avvenne mai...). Non possiamo biasimare l'Onnipotente, dato che simili distrazioni capitano molto spesso in età avanzata: senza contare che i suoi portavoce facessero di tutto per metterlo in ulteriore imbarazzo. Non per altro, cento anni prima di Geremia, Michea aveva predetto ancora una volta la distruzione di Gerusalemme, ma dato che nulla di tutto ciò si verificò, proprio il figlio di Elcia tentò d'assolvere postumamente il collega dicendo che Yahveh aveva cambiato idea (28.18).
Non è un profeta nemmeno Ezechiele, che tempesta contro l'Egitto e i filistei, vaticinando la conquista di Tiro da parte di Nabucodonosor: gloria che il gran re non poté mai vantare, dato che la città rimase potente per lungo tempo, finché non venne distrutta da Alessandro Magno, secoli dopo. Nulla di cui meravigliarsi, dunque, se Dio impose al povero Ezechiele una dieta di pane impastato con sterco per oltre un anno!
Dal canto suo, Esdra chiama in causa Ciro come inviato di Yahveh, malgrado il sovrano persiano disconoscesse il dio ebraico, e si autodefinisse, con maggior vanto ed acume politico — come prova già da due secoli il Cilindro di Ciro —, seguace ed inviato del Signore Marduk, che suo figlio Cambise restaurò al potere il 20 marzo del 537: è la mano della statua del dio pagàno, non quella di Yahvwh, che Ciro strinse per legittimare la propria sovranità, secondo l'usanza babilonese!
I profeti cristiani, appoggiatisi ai colleghi biblici per giustificare le loro scritture retroattivamente, furono molto più cauti, ma non meno flamboyant. Paolo, ad esempio, previde varie volte la fine del mondo ai suoi tempi, oltremodo smentita sin dalle predizioni fatte da Gesù in persona, che aveva ventilato l'apocalisse mentre era ancora in vita la generazione della sua epoca; il tredicesimo apostolo giustificò il fallimento della predizione asserendo che i tempi non fossero ancora maturi. Del resto, egli stesso faceva confessione d'umiltà: tutto ciò che affermava — dice il Tarsiota — proveniva dall'ispirazione divina, ma ciò non gli risparmiò comunque le feroci percosse dei suoi ingrati ascoltatori. Molto più accorto del precedente, Pietro aveva già previsto siffatta ingratitudine, dicendo che alla fine dei tempi "verranno degli schernitori beffardi, a dire: «Dov'è la fine dei tempi? Ecco che tutto rimane così come dalla fondazione del mondo!»".
Non è ancora chiaro se i profeti si compiacessero del fatto che esistano gli scettici, e caldeggiassero con voluttuoso piacere che il Signore mettesse fine all'incredulo frutto della sua imperfetta creazione: quel che è certo è che, come scriveva Cicerone parlando dei vaticinatori, essi potevano a buon diritto ridersi in faccia l'un l'altro quando si incrociavano per strada. |
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