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Grattate un cristiano e troverete un pagano derubato. .. Israel Zangwill. |
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Quando desideriamo chiudere una discussione sin dall'inizio a proposito delle origini del cristianesimo, molto spesso parliamo di "paganesimo": facciamo dei confronti col "passato", lo "valutiamo", e traiamo la conclusione che non possa esserci paragone tra l'uno e l'altro. Non ci sfiora neppure il minimo sospetto che possa esistere una continuità, di là del fatto che tutte le religioni siano fondamentalmente uguali: non accade perché il cristianesimo non sembra quel che è agli effetti.
Se premettessimo che quest'ultimo sia una rielaborazione riverniciata del paganesimo, ci chiederebbero le "prove": ebbene, questi dati corroboranti ci sono, esistono da sempre, ma la loro evidenza è talmente ben celata da richiedere uno sforzo congiunto assai esteso per poter far sì che tornino a galla. Per tal motivo questa mascheratura è ben al sicuro da coloro i quali non dispongono in tutto delle sue "chiavi" di lettura. Sia ben chiaro: tali chiavi non sono certamente esclusive, ma da sole non servono a nulla, poiché richiedono comunque delle operazioni di combinazione molto approfondite su determinate "toppe" della vicenda evangelica e sulla teoria teologica che ne deriva.
Non molti sanno che il termine "paganesimo" fu usato ufficialmente in epoca molto tarda, intorno al IV-V secolo, quando il cristianesimo, già divenuto religione di stato, si era trasferito nelle città, mentre coloro i quali rimasero nelle campagne, sfuggendo spesso e volentieri all'ingiunzione armata con cui la "nuova religione" era imposta alle masse, seguivano ancora i vecchi culti degli antichi dèi dell'impero: per tal motivo, nel glossario dispregiativo dei fraterni cristiani il termine divenne sinonimo di "campagnolo", ed assunse delle connotazioni politiche molto avanti nel tempo, quando fu necessario conformare coattamente anche i pagani al nuovo culto. A dire il vero, il problema non si sarebbe nemmeno posto, qualora i "cristiani" non avessero rinominato il loro credo sulla scorta di un'operazione di distruzione deliberata del passato: in pratica, essi stessi seguivano proprio un paganesimo sottoposto a un'attenta operazione di ristrutturazione. Non ci soffermeremo oltre su questo prologo: esauriremo all'argomento in apposita sede.
Pur facendo affidamento soprattutto sulla scarsa risonanza che certe fonti riscuotono nei confronti delle masse, senza dubbio occorrerebbero comunque una faccia tosta e un sangue freddo diremmo tipici di chiunque deve difendere a tutti i costi delle verità inette, per poter pretendere di riuscire a far credere impunemente che miti come quello di Baal, Osiride, Attis, e rituali come quello dell'Akitu, dello Yom Kippur, del Sacea — per elencarne alcuni — non costituiscano perlomeno le basi di rielaborazione mnemonica del cristianesimo: eppure, accade. Anzi, onde poter ammettere che una superstizione del genere, capace di condizionare la società umana per due millenni, sia semplicemente la continuazione mascherata del paganesimo "politeista" che funse da collante a vantaggio dell'impero romano, si desidererebbe il "contentino" della perfetta identità: vale a dire, gli dèi omologhi del passato dovrebbero avere tutti una storia non già quantomeno simile, bensì identica a quella di Gesù, affinché si possa dire che quest'ultima sia stata copiata dalla loro. Una pervicacia del genere non è solo pretenziosa: invero, è semplicemente infantile.
Il processo di questo "ragionamento" è facile a spiegarsi. Se manca un dettaglio, dicono gli esegeti, non si può parlare di mutuazione: ad es., se c'è la resurrezione ma manca la crocefissione o viceversa, non sussiste il presupposto del plagio... In fondo, questi dèi non erano veramente morti e risorti: c'è chi cade nel sonno e si ridesta, chi rimane in animazione sospesa, chi viene chiuso in una caverna e liberato dopo un certo lasso di giorni (di norma tre), chi rinasce nel figlio, chi muore dissanguato per una ferita al costato ("ma a causa di un animale o di un rivale")... Chiaramente, queste non sarebbero quantomeno delle analogie col concetto di nascita e resurrezione, nonostante gli stessi "padri" le notassero e temessero al punto da unificarle nel biasimo ad altri motivi analoghi, per timore di far scoprire le relazioni tra il loro dio e quelli dei "pagani", qualora non le incorporavano di sana pianta tanto quanto fecero con le loro ricorrenze calendriche.
Questo fu anche il pensiero di chi costruì il frankenstein cristologico, prendendo un pezzo acconcio da ciascun antesignano del nuovo dio; né potevano fare diversamente. Nella necessità di conglobare più personaggi, non era certo possibile definire in toto qualsiasi loro caratteristica peculiare: si limitarono a spersonalizzarle ed a convogliarle sinapticamente sul novello dio. Tutto ciò era ancora ben noto fino ad epoca post-nicena abbondante: viceversa, molti apologisti non avrebbero asserito addirittura che il demonio avesse previsto la venuta di cristo ed i dettagli del suo culto, suggerendoli a religioni che nacquero prima del cristianesimo al fine di screditare il futuro culto di Gesù! Non avrebbero avuto alcun motivo d'essere costretti a dire stupidaggini del genere, se non fosse stato risaputo che queste religioni "plagiarie" erano di secoli antecedenti al cristianesimo nonché parecchio simili ad esso; e, come di norma capita con asserzioni a dir poco paradossali, riuscirono a plagiare la mente dei deboli.
Sul finire dell'Ottocento si sviluppò (prevalentemente nei paesi anglosassoni; citò in primis Mangasarian e Massey) una corrente di controinformazione scettica di stampo filo-massonico, che tentava di far capire che Gesù fosse in tutto e per tutto la riedizione di qualsivoglia divinità del passato. Nulla di più esagerato: costoro di fecero prendere la mano da un facile anticlericalismo, rispolverando qualsiasi analogia come un'identità. Purtroppo, tutt'oggi le loro pretese continuano ad essere ripetute ed a costituire motivo di ludibrio per gli apologisti che le riconoscono come fallacie ed esagerazioni, con grave discredito per il contrismo ateo coscienzioso. In verità, però, costoro sorvolano sul fatto che, nonostante i punti in comune tra passato e presente non siano "tantissimi", essi sussistono inequivocabilmente. Il problema, comunque, non è che sussistano pochi o tanti punti in comune, bensì che per gli apologisti non ne sussisterebbe nessuno!
Costoro si arrabattano talmente tanto nel dimostrare questa loro "verità", da scadere persino nell'assurdo. Non li biasimo: i fedeli che godono il clima solidale di eventi popolari cardinali come il natale o la pasqua, non vanno a speculare semmai la loro struttura sia identica o perlomeno simile a quelli dei Brumalia, dell'Akitu babilonese o del festival dell'Attis frigio, indipendentemente dal loro livello di conoscenza dei fatti e dalla funzione edificante che svolgono tutti gli eventi di pubblica riunione; li ritengono genuini ed unici perché sono espressione dei culti del loro tempo, che continuano una tradizione. Gli uomini probi non si chiedono, però, se questa tradizione abbia avuto delle basi pagane, né se il cristianesimo abbia semplicemente rotto questa continuità e l'abbia mascherata sotto la propria egida, e sono portati a giudicare che coloro i quali vanno a curiosare dietro il proscenio di questo mito, si siano prefissi il compito di distruggere un malmesso equilibrio sociale!
Per questi motivi, nonostante sia la "nuova" Stella del Mattino, la Madonna dal manto azzurro racchiusa nel suo barocco baldacchino non è la riedizione della dea mesopotamica Ishtar, ma un personaggio storico in carne ed ossa tanto quanto Gesù non è l'epigono di Shamash, Osiride, Marduk o Baal, cioè il consorte della dea (che è poi anche sua madre, sorella e figlia), nonostante sia definito anch'egli "Signore", "Sposo", "Padrone". Tanto quanto la "sempre vergine" Iside egiziana di Apuleio, Maria Vergine non si cura del modo in cui la si chiama, purché la si veneri come madre degli dèi (anzi, "di dio", giacché siamo in ambito "monoteistico") e che suo figlio sia onorato al pari dell'Osiride dei bei tempi andati.
Allo stesso modo, oggi come allora si crede che, qualora non si rendesse una forma di tributo alle incarnazioni degli eventi naturali e del ciclo agrario, queste si vendicherebbero con mille calamità al pari di qualsiasi demone geloso e semi-onnipotente; in realtà, scioglieremmo semplicemente il nodo che connette la "rete mentale" proiettata verso un nexus comune ed accomunante, inciso sullo strato che ci lega alla terra, datrice di vita oggi come allora.
La gente avverte pietà e non dà importanza alle evidenze, per quanto smaccate esse siano, perché oggi come allora queste immagini sono collegate al concetto di fertilità, della terra che nutre l'uomo con l'ausilio del cielo-padre, Dyaus Pitar; così, la metonimia stereotipa del dio-grano e dio-Sole si annulla nel simulacro del novello dio, che per le masse odierne è l'immagine di un personaggio senza dubbio reale e storicamente vissuto, che anzi — eucaristia a parte — continua a vivere nella gente! Dall'altro lato, qualsiasi riferimento a culti ritenuti "immorali" secondo la prospettiva eticamente scorretta inizializzata dal cristianesimo, è obliterata dalla parafrasi storicizzante e dalle trasfusioni di astrazioni operate dai tecnici che ricostruirono tale culto.
Non si può pensare d'essere immersi nel paganesimo, men che mai in una sua rielaborazione, perché quello è "falso", laddove il "cristianesimo" è "religione vera"; né si può pensare che questo personaggio storico fosse tutt'al più legato all'estremismo politico, tolto il fatto che tale tipo di campionario sia gradito alle masse perennemente motivate da concetti di "lotta di classe". Al limite, la gente si chiederebbe il motivo per cui sarebbe stato fatto tutto ciò: ma la risposta è già insita nella domanda. |
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