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Quella religione oggi chiamata cristiana, era già nota agli antichi, con la medesima sostanza, pur se non con lo stesso nome. .. Agostino. |
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Se da un lato non possiamo dire chi abbia scritto i vangeli, dall'altro canto possiamo avere più di un indizio sul fatto che a farlo non siano stati degli ebrei, quantomeno non certo avversi ai romani; la straordinaria mole di incongruenze e determinati particolari già precedentemente rassegnati, e che esauriremo nel dettaglio più innanzi, obbligano a ricusare questi scritti come il prodotto di giudei integralisti, e li pongono piuttosto sulla scia di una sottile produzione di covertismo tra le più classiche che siano mai state adusate dai romani.
Criticare sé stessi per dissimulare e riflettere l'odio di chi li criticava, era uno degli argomenti sofistici preferiti di certi circoli filosofici; la pretesa clericale del fatto che i documenti fossero rivolti a denunzia delle angherie dei romani può essere valida solo in parte, indipendentemente dal fatto che sin dapprincipio i pontefici (attuando appunto un espediente del genere) si siano richiamati ai cesari in qualità di custodi del fu impero "rinnovato", che dall'altro lato bollavano di anti-cristianesimo. Tutt'al più la riprensione avrebbe potuto sussistere nei propositi di coloro i quali progettarono il canovaccio di base, che, date certe contaminazioni, non si esime dall'agganciarsi a ideologie stoiche, ossia profondamente critiche del romanesimo, ma nella chiave di un'avversione ventilata anche nei confronti di tutto quanto c'era di corrotto altrove.
Nei vangeli la maggior parte delle apostrofi è rivolta contro il Sinedrio, il popolo, i farisei e i sadducei, non dei romani, e il fatto che questi scritti siano sortiti fuori dal nulla non implica il contrario: ad es., l'autore del "vangelo per i romani", cioè Marco, che è definito addirittura il più "semita" e antico dei quattro, potrebbe essere stato un copiatore semita con un tipicissimo nome romano che scrisse per dei romani, ma nella lingua franca dell'epoca, il greco... Per compiere un tale sforzo era più facile essere romano e scrivere in greco, anziché rischiare di farsi scoprire come giudeo: a meno che non ci se ne preoccupasse. Gli "editori" di allora si servivano di schiavi di tutte le nazionalità per scrivere o ricopiare le opere destinate al pubblico. Avremo modo di occuparcene in dettaglio.
A chi si chiede in che modo fu possibile scrivere "in poco tempo" delle opere del genere, possiamo rispondere che tutto ciò è assai facilmente possibile, se solo pensiamo al numero di scrivani (schiavi) che gli editori di allora possedevano, oltre a disporre di ingenti sovvenzioni, appoggi politici e soprattutto più tempo di quanto non abbiamo noi oggi; ed inoltre, alla padronanza della mitografia da parte dei classici. Oggi, quattro soli storyboarders hollywoodiani possono costruire, nel giro di un solo anno (ed anche meno), una pièce che guadagnerà sicuramente dieci Oscar, appaiandosi accortamente a psicologi, sociologi e storici di fama mondiale: del resto, dobbiamo pur considerare che, quando si attinge a frasi e scenarii noti da secoli (ad esempio le favole di Esopo, la vita di Pitagora od i brani plutarchei), lo svolgimento avviene quasi automaticamente, riprendendo nozioni che spaziano da cinquecento anni prima a duecento anni dopo, quando i vangeli iniziarono veramente a comparire più o meno nelle linee di massima di come li abbiamo oggi.
Nella pratica, dopo che il canovaccio fu strutturato secondo un determinato schema, si procedette alla conformazione storica, poi mitografica: in queste condizioni, fu estremamente facile partorirli in brevissimo tempo, conformarli a una prospettiva anti-giudaica e mostrare i romani in una luce innocentista, obbligati a rispondere alla turbolenza degli integralisti. Andando avanti nel tempo, fu possibile liberarsi della zavorra del Sinedrio collaborazionista, mettendolo nel crogiolo dei dannati insieme alle correnti avversarie dei romani; il Gesù zelota fu quindi espoliato da ogni attinenza messianica originaria e mostrato sotto una luce più tenue, che invitava alla remissione nei confronti di Cesare, mentre le sue allusioni eversive e le rampogne furono rivolte in primo luogo contro i suoi presunti connazionali, che in tal modo si trovavano vieppiù accerchiati sia dagli avversarii finitimi che dai romani.
Costantino accentuò il compromesso mostrando dei rivoluzionarii sotto l'aureola di santi; i vangeli si adattarono al nesso dei Saturnali, ove i soldati (dai cui pugnali venne la morte per la stragrande maggioranza degli imperatori...) hanno il loro sfogo in connivenza col potere religioso, uccidendo "per il bene comune" un ribelle che poi avrà il suo comodissimo "riscatto" dopo la morte. Il nerbo della difesa dell'impero veniva in tal modo galvanizzato tramite un "nuovo" culto identico a quello di Mitra, quello più popolare del mondo di allora prima dell'ascesa del cristianesimo, né fu necessario adoperarsi più di tanto al fine di sintonizzare il tutto: l'opera era già stata incanalata su questa falsariga sin dalle sue impostazioni di base.
La perfezione della concertazione dei vangeli giustifica la loro presunta indecifrabilità nel senso di pretese mitografiche. All'atto pratico, il canovaccio evangelico è strutturato su delle maschere, che lasciano trasparire da appositi "fori" quel che, una volta tolte, conferisce allo scritto un significato del tutto differente; avremo modo di soffermarci ulteriormente su tale caratteristica, direi unica, per quanto condivisa in gradi diversi con qualsiasi altro prodotto mitografico che si rispetti. Se togliamo queste maschere dal contesto, i nuclei significativi, pur intrisi di meraviglie e simbolismi, non fanno perdere il senso di continuità al tutto: questa è la vera grandezza di un prodotto mitografico e propagandistico altamente evoluto.
La struttura è quella caratteristica del racconto a carattere astrale, di tipo circolare; specificatamente esso parte e ritorna in Galilea, che significa appunto "Cerchio", da una radice affine a golgotha che indicava la volta celeste. Le grandi aporie riscontrate nei vangeli giustificano tale struttura, che è evidentemente storica nella misura in cui la percentuale di storicità è chiaramente subordinata al mito; ma principalmente occorreva un sostrato cifrato seppur storico, onde conformare il racconto a dei patterns mnemonici già noti a determinati circoli e conferirgli un alone di credibilità pur in mezzo a eventi e imprese rodomontesche che nulla hanno da invidiare agli exploits di Gilgamesh, come vediamo già sin dal suo esordio.<%pagebreak()%>La vicenda evangelica inizia in uno scenario oramai sin troppo notorio per riassumerlo; quel che è poco noto consiste nel fatto che tale scenario sia fuori del tempo, a parte l'essere discordante tra gli "evangelisti". I vangeli non citano spesso delle date, e, cosa più notabile, non forniscono alcun indizio addirittura su quella di nascita del suo protagonista; anzi, quegli "indizi" molto spesso apportati onde giustificare il giorno del natale odierno (1), come i pastori pascolanti, sono piuttosto delle prove a carico.
Come oramai arcinoto, la realtà è che il 25 dicembre fosse già una festa pagana secoli prima dell'ascesa del cristianesimo: in questo giorno nascevano Mitra, Horus il Giovane, Zarathustra, Giasone, Zeus e tanti altri dèi o eroi del passato. Difatti, prima ancora del III secolo, la data di nascita di Gesù era fulcro di grande disputa, sebbene non tutti i teologi concordassero sul fatto che fosse obbligatorio scoprire la "vera" data, se consideriamo che Origene e Arnobio condannarono tali tentativi. Alle origini, la "data" era fissata al 6 gennaio, ma poiché in area classica questo era già un giorno di culto di Dioniso e Persefone, la chiesa lo spostò varie volte finché non si decise di permutarlo nel giorno delle nozze di Caana e del battesimo. La cosa era talmente risaputa, che fin nel 1100 il vescovo siriano Dionigi bar-Salibi così confessava:
"Il motivo per cui i padri trasferirono la natività dal 6 gennaio al 25 dicembre, fu che in quel giorno i pagani celebravano la nascita del Sole, invitando anche i cristiani a parteciparvi, mantenendo l'usanza fino ad oggi".
Sin prima che Aureliano lo rispolverasse, il culto del 25 dicembre era stato legato a doppio filo a quello di Mitra: secondo il mito, questo era il giorno in cui il dio persiano era nato, unitamente alla rinascita del Sole. Difatti, i persiani immaginavano che durante il solstizio d'inverno (il 21 dicembre, come standard) le forze del Bene e del Male ingaggiassero la loro "battaglia finale", che vedeva i partigiani della Luce vincitori su quelli delle Tenebre; tre giorni dopo nasceva Mitra, il Mediatore tra l'uomo e dio, col quale rinasceva a nuova vita pure il Sole Invitto. In epoca imperiale, il culto era inframmezzato dal festival locale dei Saturnalia, che duravano sette giorni, e nei quali le Brumalia coincidevano col 25 dicembre: con l'andare del tempo, questi ultimi scomparvero, e si pervenne a una fusione "sincretica" più incisiva.
Come tutte le festività, che costituiscono un momento di gioia e distensione per la gente, la chiesa non poteva certamente sopprimere impunemente proprio una delle più importanti, se non la più importante: si limitò pertanto al suo riassorbimento secondo una politica collaudata ed abbastanza inveterata. Parimenti, fu rielaborata anche la sterminata pletora di divinità associate ai giorni sacri, che aveva affollato l'immaginario collettivo del paganesimo.
Santa Claus trae origine da personaggi e concezioni altrettanto antichi, tutti provenienti dall'area sassone e scandinava, e non connessi ad un "san Nicola", associato al 25 dicembre solo a partire dal 1400. Tale personaggio nacque nel Nordeuropa in seguito a "sincretismo" con elementi preesistenti di tradizioni popolari molto più antiche del cristianesimo, che se ne approprierà ben tardi. Si trattava di un classico elemento beneficiente legato a concetti di trapasso annuale e d'avvicendamento, comprese velate iconografie di sacrificio; praticamente, presso tutte queste culture si trattava del demone dell'anno vecchio, ed era rappresentato di norma come un capro, un essere androgino o deforme, alcuni dei quali addirittura morivano e risorgevano in quel giorno fatidico, con una morte simulata.
In Scandinavia, l'antico dio-capro che simboleggiava lo spirito di Yule fu "modernizzato" in Santa Claus, ma gli preesisteva di qualche millennio; si rifaceva comunque alle rappresentazioni di Wotan e della Grande Caccia di Yule, e lo troviamo già in Germania col nome di Nickar, patrono dei naviganti. Il "san Nicola" cristiano, che gli è associato per via del nome, è un classico miraggio popolare, la cui creazione è dovuta al pio Metafraste, nel XI secolo, tant'è che non figura nella lista dei vescovi del Concilio di Nicea, al quale, secondo la leggenda, si recò.
Interessante è notare come la Chiesa romana non abbia mai molto amato questa figura, tanto che in molte zone d'Italia i doni li porti santa Lucia o lo stesso Gesù bambino; addirittura, Paolo VI ordinò d'eliminare la festa di san Nicola dal calendario cattolico ufficiale, data la scarsa e fantasiosa documentazione sulla vita di questo personaggio (secondo la leggenda, Nicola nacque da parenti che desiderarono un figlio per trent'anni, e da infante rifiutò l'allattamento fino al tramonto dei giorni di digiuno, preferibilmente il martedì e venerdì).
Quanto ai sempreverdi ed alle piante in genere, sono stati usati sin dal tempo degli egizi; già i romani usavano piante perenni per decorare le case appunto durante i Saturnalia. A parte questo, a riprova di quanto fosse antico il culto dell'albero, forse ne troviamo già la condanna nella Bibbia, con Geremia. A comprova delle usuali espoliazioni cristiane, nelle aree germaniche si procedette all'integrazione dei culti delle piante druidici con la fabbricazione della storiella di san Bonifacio, ancora nel 700 d. C..
La tradizione dell'albero natalizio iniziò nel XII secolo proprio in Germania, precisamente in Alsazia. Già dopo il 1100, iniziò a delinearsi l'usanza di addobbare un "albero del paradiso", in seno al cristianesimo cattolico.<%pagebreak()%>Nella vita dei santi abbiamo ben magra parte cronachistica: molti sono personaggi pagani riadottati, altri dei meri fantasmi della fantasia esegetica. A parte gli attori dei vangeli, nella cultologia extra-documentaria furono riacquisiti antichi dèi locali ai quali si aggiunsero ad ogni minima evenienza schiere di martiri, santi ed eroi della nuova fede. Pure l'usanza d'attribuire appositività tutelarie multiple agli dèi pagani (Giove Ottimo, Olimpo, Pluvio, Laziario; Giunone Saturnia, Moneta, Lucina, Pronuba, Mater Regina etc.) fu replicata nelle varie personificazioni dei principali personaggi evangelici assegnando ad ognuno una sua specifica e continuando ad unificare ad essa un protettore; come nel passato, esisteranno ancora nuovi numi che proteggono dal maltempo, dalle carestie, dalle malattie, nonché santi patroni del paese, del borgo, della nazione, con relative processioni e liturgie sovente riprese di sana pianta da quelle pagane (ad es. le rogazioni o le quattro tempora). Era naturale che le masse non si accorgessero del trapasso.
Un altro caso alquanto emblematico d'osmosi mitografica spregiudicata è quello di san Bacco martire, celebrato il 7 ottobre, poco dopo la vendemmia: in quel periodo i romani festeggiavano già Bacco Eleutero Rustico, in concomitanza delle feste di Bacco (appunto Rustiche), ma la chiesa in origine accorpò a san Bacco martire due compagni tanto fantomatici quanto indiziarii, Eleutero — ossia Liber — e Rustico, festeggiati entrambi il 9 ottobre insieme a san Dionigi. Per inciso, a Roma due giorni prima si festeggiava anche la dea Vittoria, resuscitata da una ricorrenza originaria greca dedicata ad Atena Nikh, poi trasformata in santa Vittoria; il 25 dello stesso mese ricorre la commemorazione di altri due santi immaginarii (così come la chiesa stessa ha ammesso ultimamente), ovvero Crispino e Crispiniano, remake della festa latina di Castore e Polluce, oggi celebrati col medesimo nome in altra data. Si aggiungono a questi anche Ermelinda e tutti i santi del Ciclo dei Falsi Carolingi della Vita Ermelindae, Gudula, Rinalda, Berlinda, Farailde, Amelberga, ed infine fra tanti altri Filomena, Veronica, Prassede, Cataldo, che la chiesa ha discanonizzato perché ultimamente ne ha ammesso l'assoluta inesistenza storica, senza però riceverne alcun commento.
Fra le festività più famose, una menzione d'eccellenza merita pure san Valentino, originariamente festa purificatoria di Giunone Februa, poi ribattezzata santa Febronia e traslocata in giugno (2). La somatizzazione fu attuata per accorpamento di una serie di giorni che includevano il festival delle Lupercalia dedicato ad Acca Larentia (la cui ricorrenza personale cadeva il 23 dicembre), alias Lupa o Luperca, la dea del grano paredra del dio Faustolo Luperco, protettore delle greggia contro i lupi, ovvero la lupa di Romolo e Remo (3): le Lupercalia, il giorno in cui Antonio propose l'incoronazione di Cesare, furono celebrate il 14-15 febbraio per commemorare il ritrovamento dei gemelli sotto il fico del Palatino fino al 486, quando il futuro papa Gelasio le trasformò nella festa di san Valentino.<%pagebreak()%>Eusebio si picchiettò il dito alla tempia, osservando che Papia era un millenarista: nonostante ciò, il futuro eretico vescovo di Cesarea si giovò moltissimo delle "testimonianze" del suo predecessore, fin quando convalidavano la "storicità" di Gesù. Invero, Papia ebbe torto soltanto nelle facezie che tentò di propinare per paludarsi d'importanza, ma piena ragione nell'essere millenarista, poiché l'indirizzo ideologico specifico del cristianesimo sin dalle origini fu escatologico, e continuerà ad esserlo a tutt'oggi. In effetti, la nascita il 25 dicembre si inserisce in un insieme concettuale a ben più vasto raggio, di cui la rinascita annuale del Sole costituiva un sotto-ciclo; tale concezione non è originale cristiana, ma affonda già nello zoroastrismo.
Così come per i persiani l'anno solare era un sottomultiplo di un ciclo più ampio, dacché esso stesso era strettamente connesso col principio per cui Mitra sarebbe tornato alla fine dei tempi per redimere i giusti e dannare i reprobi, allo stesso modo dovettero averlo concepito i cristiani col loro dio: l'evento della crocefissione, il fulcro del credo evangelico, era impostato su delle costanti assai note in passato, che non prescindono dall'ideologia chiliastica, già bagaglio acquisito della cultura latina; il quadro fu poi ulteriormente arricchito con delle varianti apparentemente distaccate dal concetto di redenzione ed Endzeit, ma comunque omogenee ed integrabili quanto a concettualità e senso.
Lo scorrere del tempo era connesso al ciclo del Sole, che alle origini unitamente alla Luna fu concepito come la prima divinità visibile delle culture primitive (4): muovendosi sullo sfondo del cielo, l'astro della luce compiva una "impresa" ogni mese, nel senso che riusciva a superare un arco di cielo alla volta, uscendo indenne dalle tenebre dell'inverno e rinascendo in primavera; il senso di miti come quello di Ercole, ci dice Porfirio da Tiro, era questo. Chiaro è che l'artificio con cui tale schema è dissimulato nei vangeli, non faccia trasparire apertamente delle immagini astrali; difatti, queste sono piuttosto rarefatte quanto a senso diretto, e vengono sostituite comunque da imprese concepite secondo metodi psichici che si dipanano lungo il corso dell'anno ebraico, basato su un calendario lunare.
Abbiamo degli episodi che, oltre a ricopiare quasi pedissequamente dei motivi "pagani", attestano una sorta di punto di passaggio tra blocco e blocco della narrazione tanto quanto la "natività", le nozze di Canaa, la decapitazione del Battista, la resurrezione di Lazzaro, l'unzione di Betania, l'entrata trionfale a Gerusalemme, il tradimento, la morte e resurrezione costituiscono i punti capitali dell'excursus. Peraltro, esse furono piuttosto trasposte in seno alla cultologia esterna ai vangeli nelle varie festività, delle quali pasqua e natale sono i casi più noti ed emblematici, e in quegli argomenti di culto rispolverati via via dai "padri" grazie all'illuminazione divina allo stesso modo in cui scoprivano dogmi come la Trinità, la transustanziazione, l'omeosustanzialità, l'eterna verginità: tutti dogmi già a suo tempo bagaglio acquisito della cultura egizia, mesopotamica, greca, persiana, come oramai concordano all'unanimità antropologi e storici perlopiù laici, talché è estremamente superfluo riferirli qui nei dettagli, sebbene ci riserveremo di rassegnarli quando necessario.
Vicende come quella evangelica, pur rivolte ad un pubblico vasto, non possono essere né estremamente chiare né estremamente dettagliate, per motivi la cui ovvietà (come vedremo) è lapalissiana. I miti religiosi non possono necessariamente prescindere dal presupposto che tali componenti siano escluse, e non lo avvertiamo proprio perché il dipanarsi del racconto evangelico non è affatto lineare come pare: qualora esaminato ad elevato ingrandimento, lo svolgimento degli eventi — lineare alla superficie — rivela, alla luce di certe incongruenze su fattori fondamentali, un percorso estremamente scoliotico, tipico dei miti misti, e che ci costringe ad effettuare delle comparazioni a vasto raggio.
Per fare degli esempi, facciamo poca fatica quando dobbiamo rintracciare le analogie delle parole marciane a proposito del battesimo di fuoco con le righe dell'Epos di Erra, poiché le prime ci vengono offerte quasi pari pari identiche rispetto alle seconde; facile è anche prefigurare un'analogia simbolica fra l'aquila che infierisce sul costato destro di Prometeo e la lancia di Longino laddove Kratos e Bia replicano i due "ladroni", ma quando riscontriamo simbolismi più criptici e degli indizi che ci portano a definire un contesto simbolico, il processo diventa più elaborato, come nel caso di certi inserti mnemonici quali il numero dei pesci presi dagli apostoli nel vangelo giovanneo (che è di gran lunga il più intriso di simbologie misteriosofiche poli-culturali), che ci richiama a una comparazione con la filosofia numerica di Pitagora, altro savio dell'antichità nato da una vergine, operatore di meraviglie, pacifista perseguitato, morto e risorto a nuova vita. E tanti altri sono i dettagli plagiati da altre fonti in questi scritti.
Non stupiamoci di tutto ciò: se ci chiediamo come tanto possa essere possibile, dobbiamo considerare che il velo di metafisica ha offuscato persino delle evidenze di uso quotidiano interrompendo il legame tra causa ed effetto, anche perché siamo stati abituati per due millenni a pensare che queste cose siano "superstizione" senza alcun legame con la "verità". Eppure, il corso dell'anno ha dodici mesi, il giorno due volte dodici ore; gli stessi giorni della settimana prendono nome dai sette pianeti conosciuti nel passato, secondo un sistema di equazione (sui generis) primitiva tramandatosi dagli antichi egizi fino ad oggi; tutti i simboli "misterici" e qabalistici ebraici nonchè i grafemi utilizzati nella "magia", sono perlopiù dei tracciati di configurazione astrale. Questo non può essere negato: può essere soltanto dissimulato pro tempore, nella vergogna di scoprirsi continuatori di stupidaggini inizializzate da individui incapaci di discernere l'astronomia da sue discendenze superstiziose.
I padri della chiesa si arrabattavano per dimostrare che simili cose non trovassero luogo nel cristianesimo, ma così facendo svelavano ancor più i loro propositi: ossia, mascherare l'evidenza, negarla ma al contempo riproporla porgendola sotto un velo di "supernaturale", di "spirituale" scevro da legami materiali, così come materiale è il Sole, una stella, un pianeta. Dio doveva essere estraneo a queste cose, pur essendone il "creatore" e pur essendo paradossalmente egli stesso piegato a dei tempi acconci al fine di agire fra gli uomini: così accadeva che, per suo stesso decreto, il dio-cronometro aveva deciso d'incarnarsi a tempo debito una prima volta, e di tornare ancora una volta quando i "tempi" sarebbero stati compiuti.
Tertulliano, mai sin troppo sazio dei suoi frequenti shibboleth, sicuramente confidando nella copertura dei suoi protettori e nella dilagante ignoranza dei suoi tempi ebbe l'ardire d'asserire che l'astronomia è la scienza (sic) che parla "non di Marte, né di Mercurio, ma di cristo"; essa fu la prima a mostrare i segni chiari e certi della nascita del Salvatore, ma dopo tale nascita era necessario destituirla d'ogni validità "affinché nessuno, in seguito, avesse potuto prevedere la nascita di qualcun altro avvalendosene". Questo non tanto perché, come diceva Agostino, "a cristo servivano seguaci, non astronomi", bensì perché la seconda venuta del messia sarebbe stata annunziata da "segni nel Sole, nella Luna e nelle stelle" (Lc. 21.25) tanto quanto quella di Gesù. In pratica, i ministri di dio avevano la necessità d'essere gli unici monopolisti dei segreti che cifravano la storia di Gesù, e per far ciò era indispensabile da un lato accostare l'astronomia a sue branche aleatorie quali l'astrologia, mentre dall'altro ci si versava abbondantemente nello studio delle cose del cielo, non esclusa proprio l'astrologia.
Tali fattori erano estremamente palesi: tutta la costruzione messianica cristiana è edificata sul concetto dell'attesa dei tempi, dalla nascita del cristo a tempo debito, come dice Paolo, sino alla "fine dei tempi" di sapore giovanneo. Soltanto una propaganda spietata avrebbe potuto far sì che la gente avesse compreso ciò nell'inconscio, mentre subconsciamente avrebbe negato con strenua stolidità l'intrusione di simili concezioni, anche perché si trattava di nozioni sin troppo astruse e ricche di complessi calcoli, affinché avessero potuto risultare molto più interessanti delle feste religiose basate su di essi.
La gente crede in queste cose in primo luogo perché sono intrise di fantastico e terrificante, ed infine perché in esse si coglie un nesso "verificabile" che si richiama alla voglia di riscatto in una società perennemente ingiusta: se da un lato ci riuscirebbe impossibile credere in un dio sottomesso al ciclo del tempo che egli stesso dovrebbe aver creato, oppure a draghi e angeli che si affrontano sulla volta celeste alla "fine dei tempi", dall'altro godiamo della scena e non ci importa se sia realisticamente impossibile, poiché si tratta di elementi "spirituali" che in fondo traggono origine da componenti concrete quali gli astri, i cicli cronologici e le fobie di massa. Sarebbero degli escamotages molto comprensibili, qualora li riferissimo al fatto che l'uomo vede tutto in base all'evolversi del tempo.
(1) "La nascita di cristo fu assegnata al 25 dicembre perché in questo giorno, quando il Sole torna nei cieli settentrionali, i devoti pagani di Mitra celebravano il Dies Natalis Solis Invicti" (da Enciclopedia Cattolica, v. Natale).
(2) Alla dea era sacro anche il 2 febbraio, oggi festa della purificazione di Maria.
(3) Acca Larentia, dea della prostituzione, aveva dodici figli, uno dei quali morì e venne sostituito dal fratricida Romolo, che ne fece i suoi fedeli seguaci.
(4) Il calendario di tipo solare fu quello più diffuso, e fu standardizzato dai romani proprio al tempo di Cesare, che attuò la riforma calendrica con la consulenza degli astronomi di Alessandria. |
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