Il Gesù dei vangeli pare quindi costituire, sotto un nome-titolo di compendio, la riunione simbolica di un mosaico di teorie messianiche eterogenee, manifestatesi dall'epoca maccabitica fino al tempo di Bar Kochab sotto la maschera di vari personaggi storici scomodi, che anelavano alla liberazione politica di Israele ed alla sua riunione; l'associazione di idee talora antitetiche, il mescolamento di frasi appartenenti ora al pensiero esseno, ora farisaico, ora alla tradizione samaritana, tradisce nei vangeli una metodologia di completamento poliedrico che fu già propria alla mitografia ellenistica.

A meno di scoperte eccezionali, è assolutamente impossibile dire chi sia stato nascosto sotto il nome di "Gesù", qualora volessimo pensare che si sia trattato di un personaggio che ne copre un altro. Potremmo anche dire che il tipo di "messia" cui appartiene sia quello samaritano, poi confluito dal racconto storico della strage di Pilato, dato che, come egli dice ai seguaci, "Mosè ha parlato di me", riferendosi proprio al passo mosaico secondo il quale i samaritani giustificavano il messia come taheb. Del resto, sebbene descritto di "discendenza giudaica", egli era chiamato "samaritano", né si preoccupava di smentirlo; anzi, apostrofava i suoi presunti connazionali, giungendo persino a chiamarli "figli di un omicida sin dalle origini", espressione che avremmo potuto benissimo trovare in bocca a chi appartiene ai rivali storici dei giudei. Dall'altro canto, la massiccia presenza del gruppo dei figli di Giuda dissimulati all'interno del racconto, ci suggerisce un'attività sempre esterna a Giuda (il regno), ma in questo caso più deliberata e attiva.
Un fatto è certo: la fine di Bar Kochab, ultimo discendente di Giuda, estinse praticamente la lista dei pretendenti galilei, ma non la loro stirpe né l'ideologia. Ancora al tempo di Diocleziano, Eusebio ci racconta che sopravvivevano alcuni "discendenti del Signore", i cosiddetti desposini, che erano stati traditi da un gruppo di "eretici nazareni": dichiarazione che aggiungerebbe pure questi ultimi tra gli ingredienti che ribollono nel crogiolo del mistero.

Eusebio tenterà di spuntarla dicendo che "Gesù si chiama «nazareno» perché nacque a Nazareth, ed anche noi in passato eravamo chiamati così": ma il termine "nazareno", così com'è scritto, non indica affatto un abitante di Nazareth, cioè un nazaretano. La relazione fra Nazareth (ebr. Naztrat) e nazareno (aram. nazorai, ebr. nozri, gre. nazwraioV) era assolutamente improbabile già nel passato; ad esempio, il Vangelo di Filippo riporta che

"Gli apostoli che sono stati prima di voi l'han chiamato così: «Gesù nazareno cristo». «Nazara» è la verità; perciò, «nazareno» è «quello della verità»"

Per Nazareth si pone lo stesso problema di città fantasma come Magdala, Arimatea, Canaa o la Betabara giovannea; il Talmud nomina sessantatrè città della Galilea ma non Nazareth, né vi fa cenno Flavio, che fece il nome di pressoché tutte le città della regione in cui operò. In pratica, nessuno storico del tempo ha mai nominato un città con tale nome: al di fuori dei racconti evangelici, se ne fa menzione solo negli scritti — cristiani — risalenti ad alcuni secoli dopo.
El-Nasirah, quella che oggi viene identificata nella Nazareth dei vangeli (e vi sono a tuttora seri dubbi che lo sia veramente), mostra stratificazioni archeologiche che non retrocedono al II secolo, differentemente da altri centri storici della Galilea come Cafarnao, Sepphoris, Iotapata, Jaffa; ancora fino a quel periodo, Nazareth — od in qualunque altro modo si chiamasse — era soltanto un cimitero, che si estendeva su un territorio di natura pianeggiante, privo di sinagoghe o precipizi da cui i suoi ingrati abitanti avrebbero potuto scaraventare Gesù.

Si asserisce che la località fosse troppo piccola, per poter ricevere nota: eppure, pare dovesse essere conosciuta comunque, dato che Giovanni si chiedeva semmai da Nazareth potesse venir fuori qualcosa di buono, pur senza mettere in conto che egli stesso non sappia se la fantomatica Betsaida di cui sarebbe stato originario si trovasse in Galilea o nel Golan!
Nel 1955, quando fra' Bagatti scoprì quelle che furono presentate come "evidenze" di insediamenti risalenti al I millennio, date le dimensioni, contraddicendo Matteo, si concluse che dovesse essere un minuscolo centro abitato da qualche famiglia. Nel 1962, a Cesarea Marittima, fu scoperta una stele che, secondo gli" archeologi biblici", faceva riferimento a un gruppo di sacerdoti esulati a "Nazareth"; sennonché, non solo il documento risale al III-IV secolo (v. Jack Finegan, The Archæology of the New Testament), ma la sua lettura più corretta darebbe Genasareth, città storica nota sin dal periodo alessandrino, anzichè il "Nazareth" immediatamente proposto dai francescani che curano il business dei pellegrinaggi locali.
Quanto al resto, si parla di torchi per il vino (uno solo, invero) e vasellame romano del I secolo: scoperte effettuate da un altro religioso, Pfann, che restano nel vago e nel precipitoso.<%pagebreak()%>Sia come sia, il problema di Nazareth, in sostanza, è un altro. Quella dei nazirei o "nazareni" deuterobiblici era un'enclave di consacrati, di certo devota alla lotta contro gli invasori, probabilmente creata sul canovaccio del personaggio di Sansone, al quale si fa alternamente riferimento al posto della profezia di Isaia: difatti, il termine ebraico nazir, che appare nel caso del forzuto figlio di Manue, non ha nulla a che vedere con il misto aramaico-greco nazara, da cui si farebbe provenire Nazareth, tantomeno con nozri, termine col quale a tutt'oggi gli ebrei chiamano i cristiani. Tutt'al più si potrebbe trattare di una contaminazione con il termine nasi, che significa "principe", variamente attestato nei rotoli qumranici; ma questo complicherebbe ulteriormente le cose.
In effetti, il movimento nazireo era popolare tra i samaritani, che profetizzavano la venuta di un messia di Efraim e Manasse per ripristinare il regno d'Israele, e si ritenevano figli del biblico Giuseppe tradito da Giuda, simboleggiato dai giudei: dovendo distinguersi dai netzarim (gre. nazwraioi), cioè i nazareni ebrei originarii, che a loro opinione vivevano sotto peccato mortale, i cristiani gentili si chiamarono notzrim, che non proviene dalla medesima radice di netzarim, né ha un significato affine. Probabilmente Eusebio si riferiva, "equivocando", al primo termine.
La realtà è che nazireo, nazoreo, nasoreo, nazareno erano tutte delle glosse che nella traduzione odierna si confondono a causa del fatto che, in fondo, tutti questi movimenti convergerono sì in un unico significato, ma significavano concetti ben diversi, che l'omofonia ha contribuito ad amplificare. Complice anche la confusione fra le denominazioni, che dovette aver ingannato la patristica in buonafede ed abituato gli esegeti cristiani a costruirsi un altro tipo di idolo, i primi cristiani digiuni di greco non sapevano o non volevano accettare l'idea di cosa fosse un nazireo, e credettero che si trattasse dell'abitante di una fantomatica città (1).
Tutta questa confusione si accentuò dopo l'invasione di Adriano e la rivolta di Bar Kochab, durante la quale si venne a creare un dissapore fra ebrei integralisti e "nazirei". Pare, quindi, che fosse necessario camuffare questi "nazareni" al punto da scorporarli da Gesù, e parlare addirittura dei desposini come suoi discendenti, facendo apparire "nazareno" come "abitante di Nazareth". Per quale motivo?

Occorre ricordare che, per tutto il primo secolo, il cristianesimo — se così possiamo chiamarlo — non si era ancora diffuso fuori da un raggio che includeva la "madrepatria" e la Siria; già dal III terzo secolo la patristica più attiva (allora per oltre la metà degli elementi orientale, per il resto africana e greca) iniziava la sua opera di propaganda sistematica per separare i Gentili dagli ebrei e sviluppare nuove dottrine non-ebraiche, che diventeranno poi la base di quelle cristiane seriori allargandosi fino in Bitinia e Asia Minore. In particolare, città come Tralle, Nisibi, Antiochia, Efeso, Nicea o Edessa (poi note per parecchie testimonianze apparentemente sommesse e di complemento su Gesù) divennero dei centri abbastanza attivi nella divulgazione proto-cristiana.
Quantunque ancora a quel tempo i Gentili non fossero particolarmente avversi agli ebrei (anzi, parecchi continuavano a riconvertirsi al giudaismo), la posizione formale della Chiesa si manifestò molto presto in termini di contrasto con le sinagoghe; frustrati e stizziti, i Padri iniziavano a dire che il giudaismo fosse obsoleto e che la chiesa fosse la Nuova Israele, Giacobbe, mentre gli ebrei incarnavano la quintessenza di Caino. Dopo ciò, Roma annunziò che la Torah fosse stata annullata e ammodernata dalla "nuova legge": l'infallibile Dio biblico era diventato, per virtù dello Spirito Santo (cioè di sé stesso), lo smemorato direttore responsabile di una testata piena di refusi, cui il redattore-capo Gesù era accorso per apportare emendamento. In effetti ci pensarono piuttosto papa Damaso e Geronimo, ad aiutare ulteriormente la Provvidenza acconciando la Bibbia al gusto latino e rettificando le sviste di un dio evidentemente affetto da una sacra forma di demenza senile.

Sebbene il cristianesimo si distaccò definitivamente dall'ebraismo solo nel IV secolo, già con Paolo i nazirei furono fra i primi a scomparire ufficiosamente dalla scena lasciando il posto a sètte che ne riprendevano l'eredità solo di nome, pur se rimasero attivi underground fino al IV secolo continuando a predicare che "Gesù" fosse un semplice uomo, che sarebbe tornato per soddisfare alle attese messianiche cacciando i romani, e che Paolo stesso fosse lo spirito della menzogna. Stranamente, i farisei, ai quali il Tarsiota dice d'appartenere, integrarono i nazareni fra le loro fila quantomeno fino al 90, quando furono espulsi dalle sinagoghe, divenendo degli eretici sia per i giudei che per i nuovi cristiani. Questo, sempre nel caso in cui potessimo riporre fede in un elemento ambiguo come il Tarsiota, al quale dedicheremo il prossimo capitolo per focalizzare meglio la questione.

(1) La "profezia del nazareno" di Matteo, che sarebbe stata ricavata da Isaia 11.1, si fonda su una distorsione del termine netser, che vuol dire "pollone", lo stesso significato del greco arcaico IackoV, appellativo di Dioniso.
Tutti i diritti riservati. Qualsiasi riproduzione senza previo accordo con l'Autore è proibita.