La maggioranza dei primi scrittori cristiani fin oltre l'epoca di Agostino, è costituita per il 98% da apologeti: sono tutti stranieri, provenienti da luoghi nei quali le religioni misteriche erano molto radicate e l'odio verso Roma d'antichissima data. La loro produzione è orientata a promuovere il cristianesimo, e si distingue o per eccesso di piaggeria verso i potenti — che essi invitano a regolarizzare il cristianesimo — o per tutto l'opposto, al punto che l'unica reazione suscitabile da parte dei governanti e dei pagani avrebbe potuto essere solamente sarcastica o violenta, qualora simili opere fossero veramente giunte dinnanzi ai loro occhi.

Le apologie sono indirizzate quasi invariabilmente ad imperatori come Traiano, Adriano, Marc'Aurelio, Antonino Pio: sovrani illuminati, propensi alla tolleranza, ai quali però si accreditano persecuzioni abbastanza ingiustificate (i primi ad attribuirne sono i soliti Lattanzio ed Eusebio: il che è tutto un dire). Epperò, nessuno di loro si sogna di scrivere appelli a Massimino Trace, Decio, Valeriano, Diocleziano: imperatori coi quali si poteva scherzare poco, figurarsi usare toni derogatorii contro l'impero, i suoi cittadini ed il loro stile di vita.

Questi apologisti utilizzano molto spesso formule retoriche che dovevano suonare molto convincenti, penso (infatti, molti di loro sono prevalentemente retori, avvocati, filosofi); e lo fanno con una violenza tale che potrebbe essere comprensibile soltanto considerandola l'azione di gente che lo fa per mestiere, per promuovere a tutti i costi qualcosa di "nuovo", non potendo pensare a dei fanatici autoconvinti, dei "folli per troppa sapienza", come dice Felice a Paolo: solitari istrionici, che tentano di prendersi qualche rivincita contro un mondo che non li vuole.

Peraltro, tralasciati tre o quattro dei quali è noto solo il nome, molti di loro sono autori sconosciuti, citati solamente a partire da Eusebio in poi, ossia quando il cristianesimo inizia a diventare lecito; da quel momento in poi, l'apologetica si infiacchisce, avendo oramai raggiunto il suo scopo. La maggior parte, invece, sono tutti maestri e discepoli uno dell'altro; il che la dice oltremodo lunga.

Tralasciando per motivi pratici Eusebio e Agostino (per i quali occorrerebbe uno spazio a parte), scorriamo dunque tutti questi autori dalle origini fino a Geronimo, per farci un'idea di chi fossero e cosa scrivessero.

In ordine di tempo abbiamo Ignazio, "protomartire" d'Antiochia, vissuto al tempo di Traiano, imperatore particolarmente tosto, ma non certo stupido o crudele; eppure, per suo ordine Ignazio fu mandato al martirio a Roma, dopo aver avuto il tempo di scrivere, cammin facendo, decine di lettere, che ci sono pervenute tutte integre, nonostante siano state vergate tra belve e soldati, "che più li tratti bene, peggio ti trattano", come scriveva in quella ai romani. Un viaggio apposito verso Roma tutto per lui, per morire in pasto alle belve, unica star di un ben magro spettacolo per i cittadini romani: probabilmente Traiano, impegnato com'era coi daci e con i giudei, aveva comunque il tempo da dedicare a questioni di minore importanza, relate da un tizio proveniente da una delle fucine religiose più attive dell'impero, dalla quale si sfornava una superstizione al giorno!

Dopo di lui abbiamo due "padri" originari di quella che è l'odierna Turchia, ossia Papia di Gerapoli (un mattacchione, che persino un acrobata del calamaio come Eusebio definì "molto corto quanto a intelletto"...) ed il martire Policarpo di Smirne, discepolo di Giovanni l'evangelista, vissuti sotto Antonino Pio, che ne dicono di tutti i colori sotto gli occhi svogliati di Ireneo, il primissimo a citarli. Sulla vita di quest'ultimo, che è pure scopritore dei nomi degli evangelisti, poco c'è da dire: anche perché poco sappiamo, eccetto che fosse anch'egli oriundo degli stessi luoghi (ma anche questo è dubbio). Praticamente è lui l'iniziatore del Canone: ed è anche colui il quale ci porta parecchi brani inesistenti nelle versioni odierne...
Contemporaneo è Claudio Apollinare, compatriota di Papia, di cui pochissimo si sa, tranne che fosse santo ed avverso ai giudei; scrisse anch'egli a Marc'Aurelio, ma nulla abbiamo delle sue opere, fuorché quanto ce ne riportano Eusebio e Geronimo. Epperò, proprio il buon Marc'Aurelio fu carnefice di Ireneo e del di lui maestro, cioè Policarpo: una cosa assurda, invero, a prescindere dalla levatura morale e filosofica del "tiranno"!

A promuovere "con efficacia" il cristianesimo iniziarono i "padri" greci: Aristide, Quadrato, Atenagora. Pure di loro sappiamo veramente pochissimo, eccetto che fossero dei filosofi ed oratori formidabili, e per questo scelti: sapevano parlare, e cercavano di convincere. Nonostante ciò, gli imperatori ai quali indirizzavano le loro suppliche, sembra che li ignorassero; anzi, dichiararono vieppiù illecito il cristianesimo, come se non avessero ricevuto nulla da parte dei suddetti! Ah, la stolidità dei potenti!
Quadrato ci lasciò un solo frammento, citato dal solito Eusebio, nel quale attestava che i testimoni delle gesta di Gesù fossero ancora vivi al suo tempo (ca. 124). Quanto ad Atenagora, scrisse anch'egli a Marc'Aurelio, ma non è stato mai citato da nessun altro collega contemporaneo od epigono, al contrario di Aristide, santo, che fu ispiratore di Giustino, primo nella lista dei "pesi massimi" veri e propri.

Nato a Nablus, in Palestina, ex pagano e d'origine greca, Giustino ci lasciò otto opere, delle quali due difese del cristianesimo (la prima e seconda Apologia, noti col termine unificato di "Apologia"), una indirizzata ad Antonino Pio, l'altra al senato. Non sappiamo che necessità ci fosse di farlo, dato che Antonino fu già bendisposto verso i cristiani; probabilmente lo scopo era di spingere sull'accelleratore per innalzare il cristianesimo sul podio, o forse l'accentuazione del dramma gratuito. È un proto-apologeta, e si vede; i suoi argomenti sono in via di raffinamento, e comunque ancora poco efficaci e controproducenti. Chiaro è che non ebbero gli effetti sperati.

Taziano, assiro, fu suo discepolo; a parte il Diatessaron (scritto da un altro), che fu l'unico vangelo usato in Siria per secoli, gli è stata attribuita un'altra opera, l'Orazione ai Greci, nella quale proprio lui, appartenente all'eresia encratita, sbugiardava gli errori dei politeisti. Nonostante ciò, fu abbondantemente svillaneggiato da Ireneo!

Suo contemporaneo e connazionale è Teofilo d'Antiochia, menzionato per la prima volta solo da Eusebio, nonostante la sua opera principale — il Contro Autolico — costituisca una delle più volenterose seppur sconnesse apologie della prima fase. Sappiamo che fu un ex pagàno e che delle sue opere rimase solo quella, nella quale fa uso copioso del Vecchio Testamento per convalidare il Nuovo, che egli cita molto scarnamente; nello stesso testo egli elogia anche pagani come Arato e Platone (che però cita erroneamente), considera gli Oracoli Sibillini come autentici, ridicolizza chi asserisce che la Terra è rotonda, ed affermana, inoltre, che il nome di Eva ("prima peccatrice"...) derivi dal lussurioso grido delle baccanti!

Altro contemporaneo è il vescovo greco Dioniso di Corinto, carattere molto polemico, come si evince dai titoli delle opere: perdute, ma citate ancora da Eusebio.

Viene poi l'africano Minucio Felice, anch'egli ignoto; su di lui ci restano scarne ipotesi da parte di Geronimo, che lo definisce "illustre avvocato".

Segue l'eunuco turco Melito di Sardi, dalla storia più che oscura: ciò non toglie che sia stato fatto santo per meriti apologetici, e che fosse stato una grande autorità, almeno a detta di Geronimo. Le sue opere sono per massima parte sparite: eppure, Eusebio ci dice che avesse scritto un'apologia all'attenzione di Marc'Aurelio ed un'altra ad Antonino Pio!

Nulla sappiamo neppure su Massimo di Gerusalemme, vescovo, vissuto al tempo di Commodo; frammenti delle sue opere sono citate da Eusebio, Geronimo, Metodio e Fozio, ma probabilmente il primo di questi attribuì a Massimo delle opere di Metodio, acre avversario di Origene; in fondo, ad identificare i frammenti citati come opere di Massimo fu Andrea Gallandi, nel XVIII secolo, non Eusebio...

Panteno, giudeo alessandrino, stoico, è citato per la prima volta dal solito Eusebio: leggendo Fozio, del X secolo, osservo che Penteno udì gli apostoli in persona, ma non saprei immaginare in che modo ciò possa essere stato possibile, dato che questi fu attivo tra il 160 ed il 193 "dopo cristo"!

Su Clemente Alessandrino, pupillo del precedente, ci sarebbe tantissimo da dire, a cominciare dal fatto che è un ex pagano che mischia stoicismo e platonismo. Ateniese d'origine (così almeno ci dice l'oscuro Epifanio Scolastico, vissuto tre secoli dopo di lui), fu praticamente il primo scrittore "serio" della cristianità, dato che a lui si deve praticamente la diffusione del concetto di plagio da parte dei pagani ai danni dei giudeo-cristiani; e per far ciò si ispira a falsi conclamati quali le Preghiere di Pietro (a lui solo note), la Sibilla e la cabala numerica alessandrina!

Origene, suo discepolo, fu altrettanto serio nel cogliere i precetti evangelici, evirandosi per prendere alla lettera la prescrizione degli "eunuchi per il regno di Dio". È il primo "Padre" di grande importanza dal I al III secolo, avendo egli tentato addirittura una traduzione a sei colonne della Bibbia, ed a provenire da una famiglia già cristiana: nonostante ciò, continua la tradizione di ritenere gli dèi pagani personaggi reali, che egli illustra per fini apologetici. Tenta anche una difesa contro uno straordinario Celso, che, data la levatura dell'avversario, gli riesce molto male, al punto da esaltarlo ulteriormente, suo malgrado!

Suo contemporaneo fu l'avvocato Tertulliano, sul quale sarebbe necessario scrivere un libro a parte; ma proverò comunque a sintetizzare. Ex pagàno, d'origine cartaginese, Tertulliano inizia la cosiddetta "patrologia latina": è infatti il primo a scrivere in latino ed a ridicolizzare i colleghi greci come "roba superata"... Gli dobbiamo l'introduzione di un "canone" biblico, ancora farcito di opere che saranno poi definite apocrife; si sospetta, inoltre, che sia stato l'autore della Passione di Perpetua Felicita, un clamoroso falso della martiriologia, nonchè del famigerato Rescritto Neroniano e qualche altro documento falso...
Dopo un trentennio di attacchi contro eretici e pagani, in età avanzata Tertulliano diverrà montanista, cioè eretico lui stesso, e per questo motivo gli si proibì l'iscrizione alla lista dei santi; ciò malgrado, agli apologisti moderni giova comunque la sua produzione antecedente, nella quale dava libero sfogo alle sue qualità dialettiche unite ad una tecnica che integra vittimismo, attacco ad hominem, antisemitismo (influenzò l'atroce concittadino Cipriano), falsi storici, appelli alla Sibilla e tanto altro. Proprio il montanismo, integralista ed eccessivo, fu una delle cause della recrudescenza contro i cristiani in genere: i "cattolici" si dissociavano, e tentavano di far capire ai sovrani che non c'entravano nulla.
Famoso per aver osteggiato la libertà delle donne e difeso il servizio militare, nel suo periodo eretico Tertulliano dirà tutto il contrario: in altre sue notabili sciccherie (che per lui provano la resurrezione) ci descrive la iena che cambia sesso ogni anno, la Fenice e l'effetto ringiovanente che ha il veleno dei serpenti sui cervi che se ne nutrono!

Arnobio, algerino, operò durante l'epoca di Diocleziano, cioè intorno al 305. Secondo Geronimo si trattava di un retore che lasciò il paganesimo in seguito ad un sogno; il che è dubbio, dato che Arnobio scrisse anche contro i sogni premonitori!
A dire il vero, nella sua unica opera scrisse un pò contro tutto e tutti, con un accanimento pari solo a quello del miglior Tertulliano, pur essendo ancora pesantemente influenzato dallo gnosticismo e da banali confronti col paganesimo; caso più unico che raro, la sua lettura è comunque tanto monotona quanto divertente, come possiamo vedere in un suo famosissimo brano che riassume in toto l'essenza del personaggio: "Voi pagani ci chiedete chi siano i veri dèi: in verità, noi cristiani non lo sappiamo. Come possiamo aver certezza di ciò che non abbiamo mai visto?"!

Il suo celebratissimo discepolo, Lattanzio, proveniva dal Nordafrica; anch'egli originariamente pagàno, si convertì al cristianesimo, ma lo abbandonò coraggiosamente molto presto, per evitare le persecuzioni di Diocleziano. Indubbiamente per le sue doti oratorie, a cui motivo è noto come "il Cicerone cristiano", fu scelto da Costantino per fare da precettore a suo figlio Crispo: e Lattanzio, che prima d'allora aveva vissuto in estrema miseria, accettò subito l'incarico. Probabilmente le sue lezioni non giovarono al pupillo, che di lì a pochi anni sarà ucciso da Costantino insieme alla madre...
Nel frattempo Lazzanzio scrive le Divine Istituzioni, che costituiscono il primo tentativo radicale di silenziamento degli oppositori cristiani, nel quale sciorina anch'egli la Sibilla, Hermes, Apollo e tanti altri, mettendo loro in bocca profezie su Gesù; notabile è anche il Su come morirono i persecutori, nel quale fa ampio sfoggio di crudeli quanto esagerate scenografie per descrivere la morte degli imperatori precedenti a Costantino, oppostisi ai cristiani.

Atanasio, prolifico scrittore alessandrino, è noto per il suo Credo — spurio — e la sua Apologia contro i pagani, un'opera abbastanza fiacca e scontata. Molto più energici erano i suoi metodi pratici: infatti, credeva che la violenza fosse necessaria per la salvezza ultraterrena. Nulla di cui stupirsi, se fu accusato da amici e nemici di corruzione, percosse, intimidazione, rapimento, tradimento ed omicidio; e non per nulla il suo epitaffio recita "Atanasio contro il mondo!".
Il suo degno successore, Teofilo d'Alessandria, acerrimo nemico di Crisostomo (che denunciò i crimini di molti colleghi e la dissolutezza della chiesa del tempo...), viaggia sulla sua falsariga: a lui si attribuisce la distruzione della biblioteca della città. Non meno notabile è il nipote di Teofilo, Cirillo, famoso per il linciaggio della filosofa neoplatonista Ipazia e svariati pogrom contro i giudei: il che non impedì di farlo santo...

Andando a Geronimo, d'origine slovena, fu discepolo del pagàno Donato, prima d'essere svezzato da Gregorio Nazanzieno, ex pupillo di quello stesso Origene che Geronimo attaccò spesso e volentieri, nonchè autore di una delle più squallide e vergognose invettive mai concepite da un cristiano, quella contro il grande imperatore Giuliano.
Amante della bella vita, Geronimo non vide di meglio che andare in penitenza nel deserto del Sinai per emendarsene. Qui, egli racconta, il diavolo gli appariva in forma di donna, per tentarlo; ciò non gli impedì comunque di versarsi anima e corpo nella scrittura, anche per sfuggire alle tentazioni. Studiò dunque i classici talmente a fondo, che una notte gli apparve Dio in persona, redarguendolo d'essere un "ciceroniano" anziché un cristiano (cosa che evidentemente non impedì a papa Damaso d'incaricarlo della composizione della Vulgata).
Memore del proprio passato, scrisse una mole sterminata di lettere nelle quali denunziava la corruzione del clero romano, ammonendo i destinatarii a prediligere la verginità ed il convento al punto da calpestare persino i genitori che si opponessero alla vocazione, e ad aborrire i preti "addobbati come sposini", che con una mano pregano e con l'altra questuano.

Ce ne sarebbero molti altri, ma preferisco stendere un pietoso velo di silenzio, dato che i loro peccati furono veniali, al confronto: in fondo, erano pur sempre uomini come tutti gli altri.
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