Il diavolo è un ottimista: crede di poter peggiorare gli uomini.
.. Karl Kraus.
L'umanità si è sempre chiesta quali siano le cause del malessere, credendo d'aver trovato tante risposte che di solito convergono sulla presenza del Male in sé per sé, personificato, ovvero sulla fondamentale stupidità dell'uomo. Altri uomini, più o meno furbi o intelligenti, postisi la medesima domanda, credettero d'aver scoperto una panacea per tale inconveniente; in tal modo hanno peggiorato le cose in maniera esponenziale.
Accodandosi a Paolo ed epigoni, così la Congregazione per la Dottrina della Fede (l'ex Santa Inquisizione), nel documento intitolato Circa le preghiere da indirizzare a dio per ottenere la guarigione, tenta di spiegarci per quale motivo l'uomo soffre:

"La malattia però colpisce anche i giusti e l'uomo se ne domanda il perché. Nel libro di Giobbe questo interrogativo percorre molte delle sue pagine. «Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa e abbia carattere di punizione. La figura del giusto Giobbe ne è una prova speciale nell'Antico Testamento [...] E se il Signore acconsente a provare Giobbe con la sofferenza, lo fa per dimostrarne la giustizia. La sofferenza ha carattere di prova»".

Un teologo è capace pure di spiegarvi "ragionevolmente" che dio può volere che un padre subisca una menomazione permanente, per far sì che i suoi figli diventino premurosi con lui negli ultimi anni della sua vita; che permetta si verifichi un cataclisma onde far sì che le nazioni più abbienti "si accorgano finalmente" dei bisogni del Terzo Mondo; che l'AIDS è un castigo divino per moderare gli eccessi di libero arbitrio... E può spiegarvi tanto altro, incentrando le sue "ragionevoli spiegazioni" sulla necessità di giustificare ciò che, all'apparenza, potrebbe sconfessare l'esistenza di un dio buono, onnipotente, onniprevigente, creatore del tutto. Tale "pensiero" persevera, al limite del ridicolo e della cialtroneria da gogna. Così ad esempio don Livio Fanzaga nella sua sublime operetta, Il Falsario:

"Dio fa di tutto per conquistarti. Se non ci riesce, ti manda malattie, dolori morali e disgrazie per convertirti".

Ma veramente: con un dio così, chi avrebbe bisogno del diavolo?<%pagebreak()%>Non ho mai capito per quale motivo i cristiani ce l'abbiano così tanto col diavolo, anziché farlo santo fra i santi, dato che ha contribuito come nessun'altra cosa alla diffusione della Chiesa.
Risulta estremamente sintomatico d'ossessione e perversione, l'interesse quasi morboso per il Male nella società odierna, sia da parte dei comuni mortali che degli addetti ai lavori, ovvero "studiosi" laici o meno: è un'ossessione parzialmente "giustificabile", dato che il Male personificato ha radici assai antiche, direi feticistico-genetiche tanto quanto il simbolo del Bene.

Il dualismo morale è indispensabile, per l'esistenza di credenze come il cristianesimo: senza il Male, Satana, l'Orco, la Morte, che Gesù è chiamato a sconfiggere "alla fine dei tempi", si perde il significato precipuo della dottrina cristiana, cioè quello della salvezza.
Certo, "scoprire" l'esistenza del demonio non fu cosa facile: molto più facile è crederci per combatterlo. Nelle religioni antiche, il Male poteva anche essere personificato, ma, per ovvi limiti della psiche di massa, non aveva ancora raggiunto quelle forme che saranno proprie al mondo cristiano, che riprese le nozioni dall'ebraismo soltanto come forma; difatti, pur avendo mutuato pressoché tutto in primo luogo da egizi, caldei, cananei e persiani, gli ebrei possedevano una differente nozione di "demoniaco" (Lev. 17.7, 2 Cron. 9.15), intesa secondo i canoni delle loro antiche fonti. Nella teologia biblica, è Yahvéh medesimo che invia calamità: non esisteva neppure un "capo delle schiere infernali", come il Nergal babilonese (cui lo stesso Yahvéh in sostanza somiglia assai), ma già ancora in tradizioni popolari e deutero-bibliche essi variavano di nome (Baalzebub, Azazel etc., mai Satana).

Non c'è da meravigliarsi del fatto che Yahvéh fosse quel che, agli effetti, dalla Bibbia stessa traspare, ossia un nume geloso, ambiguo e sanguinario, dato che il composto El-Shaddai, col quale egli stesso si presenta spesso e volentieri, significa anche "dio-demone" (da una radice affine a serim, una sorta di demoni arcaici simili a fauni cui apparteneva Azazel, che gode di sacrifici "gemellati" con Yahvéh, ad es. nello Yom Kippur), oltreché "dio potente" o "delle alture" (o, meglio ancora, "menzognero", qualità in cui Yahvéh rifulge); in questo senso, potrebbe essere parecchio comprensibile perché mai il dio invii angeli di morte o di menzogna, che si accompagni ad arcaiche divinità cananee della pestilenza e del terrore, o che non sia "chiaro" se sia stato Yahvéh o Satana, ad aver istigato David a censire il popolo.

Nel caso specifico, gli ebrei non intendevano Satana nei termini in cui il cristianesimo lo effigerà: per loro, Satana era un concetto politico, perché incarnava qualsiasi accanito persecutore del "popolo eletto" (un "satana", minuscolo).
L'excursus attraverso il quale questo personaggio venne a formarsi in seno all'ideologia yahvitica, è estremamente complesso e sintomatico di quelle che, agli effetti, sono le trasformazioni delle religioni in base ai tempi e alle contingenze. Dal Genesi fino ai libri "davidici", non riscontriamo alcun accenno a questa figura: lo stesso serpente dell'Eden è stato identificato nel demone Samael soltanto nella letteratura post-talmudica, pregna di riferimenti a nozionistica mediorientale che nella Bibbia sono soltanto accennati (probabilmente perché purgati).
Satana inizia ad apparire in libri intermedii, frutto di reminiscenze pagane, ove assolve al compito di testificatore della volontà di Dio, come accade in Giobbe; in una seconda fase, le nozioni attingenti alla teodicea cananea lo vedono in veste di serpente, avversario di Yahvéh, che riprende i panni di Baal; infine, con Zaccaria (ovvero dopo l'esilio), assumerà delle connotazioni più personificate che mescoleranno Set, Ahriman, Ištar e Tiamat in un pot-pourri estremamente difficoltoso da sciogliere.

Le immagini che la cultura cristiana ci offre sulla personificazione del Male sono principalmente un'adulterazione del paganesimo greco-romano, unificato alle icone dell'escatologia cananea confluita nella salmistica ebraica; sono cosa assai recente, cui neppure Paolo aveva pensato.
Dopo il Concilio di Toledo (V secolo), Pan e il Livyathan furono accorpati in un tutt'uno e consociati alle schiere demoniache che appestavano l'immaginario collettivo dei popoli mesopotamici e indo-iranici, sebbene in queste due culture avessero delle caratteristiche abbastanza diverse, poiché si trattava sempre di modelli etici estraniati da pretese di terrorismo psicologico, quantunque i persiani avessero già iniziato a parlarne nei termini di un'etica conformativa.
Praticamente, i cristiani demonizzarono divinità naturali come Pan ed emblemi della mistica primitiva cananea in concetti sublimati e dotati di attributi numinosi singolari, per poter rispondere a una pressante necessità d'astrazione e meglio assolvere al compito di deterrente "incorporeo", che riprenderà il concetto con quello di "possessione", anch'esso mutuato dai greci, che con i loro daimoneV intendevano degli "spiriti residenti", alla maniera socratica, e soprattutto qualsiasi causa invisibile che provocava un'azione apparentemente priva di movente palese.

Tutta quella cultologia esplicitamente cruenta che non poté essere inserita nel cristianesimo, divenne "satanismo": ma agli effetti si trattava semplicemente delle medesime ideologie e cultualità del cristianesimo, ora sovraccaricate di significati deteriori ed invertiti. Al sacrificio dell'animale, o alla simulazione della crocefissione "istigata da Satana", a loro volta derivate dall'accorpamento di primitivi rituali espiatorii di tipo dionisiaco (sparagmos, saturnicius princeps), corrispondeva l'effettiva uccisione dell'essere umano in onore del "demonio"; all'agnello sacrificato il capro onorato del sacrificio; all'eucaristia il sangue e la carne veri della vittima; al culto dei morti la dissacrazione delle tombe; alla sottomissione incondizionata verso dio, il "titanismo" del "ribelle"; alle apparizioni divine quelle demoniache; e così via.
L'inversione deteriore sarebbe stata già implicita nel fatto che il secondo tipo di culto è inteso come negativo, per il mero fatto che si occupa dell'adorazione del Male.<%pagebreak()%>Quella del demone è una maschera che varia da cultura a cultura, ma soltanto in quella di stampo cristiano essa assume delle connotazioni psicotiche.
La spettacolarità, la truculenza, il morboso, quei fenotipi presenti e graditi forse anche per un'umana necessità di meraviglioso che trascende lo chock aberrante, incidono nel nostro inconscio provocando l'insorgenza di certi fantasmi, la cui persistenza sbiadisce di pari passo con la percezione delle antinomie su cui è basato il concetto di diabolico, e riaffiora se abbiamo paura di rifiutarlo. Se esorcizziamo il pensiero di Dio, ci aspettiamo da un momento all'altro che il Demonio salti fuori a fare scempio di noi: abbassando la guardia, la stessa paura fomentata in noi dalla consapevolezza di vivere in un mondo di demoni, riaffiora, sicchè i "demoni" ci assalgono e torniamo ad implorare quella "medicina" che li teneva dentro di noi, ma "incatenati".
Alfine, se persistiamo nel rifiuto sistematico delle icone del "Bene", intendendole illusioni tanto quanto quelle ad esse opposte, diventiamo "demoni" noi stessi, perché "facciamo a meno di dio"; per tal motivo sia i noncredenti che i "cultisti del Male" sono comodamente catalogati nella medesima categoria.

Se separiamo il Benessere dalla maschera del dio umanoide, pur se avviluppata in una nebulosa cortina di vaghezza, ci viene incontro quella del demonio, dell'essere mostruoso, fatta inerire alle idee contrarie: gli induisti lo visualizzeranno nelle fattezze di un rakshasa, i buddhisti in quelle di Marah, i cristiani in quelle di Satana, ma nessuno di loro s'accorgerà che si tratta di maschere locali, di idee scaturite dal modo in cui si intende il male localmente, per quanto tutte unificate sotto il concetto di distorsione e perversione.

Semplicemente, il "satanismo" (che in fondo è cosa assai recente, come "culto" organizzato) si nutre delle pressioni pulsionali più radicali ed istintive della natura umana, laddove il cristianesimo tenta di imprigionarle e dirigerle verso un fine idealmente benefico, o quantomeno anodino; ma se i cristiani avevano inteso mitigare con un'operazione di "magia simpatica" la crudezza dei rituali pagani, riproponendoli comunque per necessità d'ottenere un seguito dai conversi e dai convertendi facendolo in chiave "simbolica", non capirono che tale mistificazione, probabilmente utile ai prodromi, a lungo andare avrebbe accentuato i problemi in maniera esponenziale, indipendentemente dal fatto che il nucleo centrale della loro fede è comunque intessuto sull'atrocità e l'ingiustizia, ora capovolti come weapon salve del cristiano nel più tipico esempio dell'arcaica empatia animistica.

Quindi, il "satanismo" è soltanto l'ennesimo strumento di persistenza del cristianesimo, che lo ha creato e che se ne serve al fine di perpetuarsi come egida del "benessere"; anzi, non è nemmeno necessario fomentarlo, poiché la discriminazione proficuamente attuata dopo Costantino, Teodosio e Giustiniano avrebbe mandato avanti il meccanismo per inerzia.
In tal modo accade che, nutrendosi entrambe della medesima ignoranza, la cura è causa e mozione della malattia stessa, ma senza la seconda essa non ha più alcuna ragione d'essere: la "ribellione" a un ordine fittizio e fallace diventa in tal modo strumento di perpetuazione d'esso stesso, nella più tipica forma mentis di una superstizione cannibale, la quale, come nel caso di Gesù medesimo, provoca le sue vittime, le elimina per interposto agente ed infine le santifica a proprio emblema di esaltazione e persistenza nei secoli dei secoli.
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