La figura del civilizzatore divino venuto a rettificare un'umanità barbara e insensibile grazie al suo bagaglio di cognizioni superiori, è assai antica: prima ancora che Oannes facesse capolino nella letteratura alessandrina d'origine caldea, sulla scorta di lasciti ben più vetusti, è opinabile che essa fosse nota ovunque al mondo. Dal Wakea polinesiano al Ryangombe baziba, la ritroviamo con quasi le medesime caratteristiche.

Fuori del Mediterraneo, il caso più simile (se non identico) a quello cristiano lo ritroviamo in Messico, ed è costituito senz'altro da Quetzalcoatl, noto come Kukulkàn tra i maya: il dio dai lunghi capelli e dagli occhi chiari, vestito con una tunica ricoperta di croci. Prima ancora dell'auge degli aztechi, tra i toltechi di Teotihucan erano apparsi altri personaggi analoghi, come ad esempio il bianco e barbuto Kate-zahl: ce lo tramanda, allibito, il missionario iberico Bernardino de Sahagun.
In effetti, tolti questi personaggi, i conquistadores avevano notato tante di quelle analogie tra le credenze ebraico-cristiane e quelle dei popoli precolombiani (che difatti entrarono assai facilmente in sincretismo dopo la Conquista), da aver ipotizzato che questi ultimi fossero quanto rimaneva delle leggendarie tribù d'Israele misteriosamente scomparse.

Oggi sappiamo che i vikinghi compissero delle lunghe traversate trans-oceaniche già ben prima di Colombo, che molto sicuramente fu preceduto ulteriormente dai marinai portoghesi che battevano le rotte dell'oro, tanto quanto i vikinghi stessi furono seguiti quasi certamente dai goti, dai danesi e dai gallesi. Sono conscio del fatto che ipotesi del genere possano essere reputate "selvagge", ma ad ogni modo sarebbero sempre ben meno peregrine del credere in divinità creatrici dell'universo e altre cose simili; di certo non è un peccato considerarle perlomeno per digressione. D'altronde, non dovremmo dimenticare che parecchi popoli del passato (fenici a parte) si spingessero frequentemente oltre le Colonne d'Ercole.
La stessa Chiesa (forse sulla scorta di nozioni templari) pare fosse a conoscenza di terre trans-oceaniche sin da prima della terza crociata; tolta la rotta dell'oro, non è improbabile che le storie sulle Colonne d'Ercole fossero fatte circolare proprio per tenera alla larga i curiosi da terre "private". Qualora le spedizioni dei vikinghi dell'epoca di Leif ed Erik dovessero essere giudicate come una "forzatura", allora occorrerebbe ricordare che, secondo vicende reputate storiche dalla chiesa irlandese, certi "santi" come Brendan (cioè Bran il Navigatore, antico dio gaelico) avessero effettuato traversate oceaniche un millennio prima del Genovese: se Brendan è scusato, non vedremmo per quale motivo non possano esserlo degli umili marinai perlomeno coevi a lui.

I cugini nordamericani dei popoli nahuatl messicani hanno sempre parlato di civilizzatori con le medesime caratteristiche somatiche di Gesù. Per la maggior parte dei casi si trattava di personaggi assai antecedenti all'idolo cristiano; per altri versi, la venuta di questi civilizzatori si poneva intorno al 500 a. c. o nel primo millennio, cioè successivamente all'entrata del cristianesimo nelle regioni anglosassoni e scandinave.
Abbiamo così notizia di personaggi come Je-zoos, il "dio dell'Alba", apparso tra gli algonquin, i cheerokee e i dakota; costui era anche noto come Yesuse (o Yahowa) tra i navajo, e Pahana tra gli hopi. Tutti costoro provenivano dall'est, e, tanto quanto il "Gesù di Nazareth" d'apocalittica memoria, erano associati alla Stella del Mattino, come nel caso di Quetzalcoatl / Kukulkàn e il Viracocha peruviano, stretto "parente" del Bochica colombiano.
Come se non bastasse, la loro vicenda si concludeva quasi sempre drammaticamente dopo parecchi miracoli, una predicazione itinerante insieme a dodici discepoli, camminate sulle acque e contrasti col potere religioso precedente. Rimandiamo il lettore a una ricerca autonoma in merito, volendo: per il momento, torniamo al Vecchio Mondo.

A oriente del Mediterraneo la situazione non cambia. Tolte le grandissime analogie tra buddhismo e induismo da un lato, e il cristianesimo dall'altro, la figura del civilizzatore pacifista è una costante anche in Oriente; anzi, potremmo anche dire che tale tipo di personaggio sia nato tra India e Iran e si sia ritrovato in Occidente sulla scorta di nozioni probabilmente importate dopo le spedizioni macedoni. Non dobbiamo dimenticare che la stessa concezione del messianesimo ebraico sia di pura origine persiana: gli amesha avestici vantano tipologie molto simili a quelle del salvatore ebraico-cristiano, indipendentemente dall'assonanza con il termine "messia". Del resto, il modo in cui simili storie si propagano non è infrequente, se solo pensiamo al fatto che la vicenda di Cesare fu trasportata in Tibet e ridisegnata sul personaggio di Gesar di Ling, antecedente a quella del dittatore romano e basata su parametri di tipo ramayanico.

La pista orientale potrebbe celare delle sorprese non meno interessanti. Nessuno sa dirci cosa sia stato di "Gesù" nell'arco di tempo non coperto da resoconti nella sua "biografia": appoggiandosi agli apocrifi e al Talmud, alcuni asseriscono che si sia recato una seconda volta in Egitto, ove apprese le "arti magiche";,altri presuppongono che si sia diretto per tutt'altra direzione. In verità, tutto ciò è poco importante, se non ai fini d'arricchire e localizzare una leggenda incentrata su un personaggio archetipico.

Ad esempio, durante il Ventennio, nel pieno rigoglio della superstizione teosofica (cui aderirono pure parecchi nazisti), si iniziò a parlare di "Gesù in India", Tibet, Cina, e via dicendo; i motivi sono assai facili a capirsi, se diamo un'occhiata a quel che contraddistingue la teosofia a livello di ideologia. Se si desiderava sfruttare un probabile (anzi, certo) legame fra il "cristianesimo" e certe ideologie orientali, non si poteva scegliere argomento peggiore, se solo pensiamo che tali nozioni furono importate in Occidente da visionarii come Roerich e viaggiatori di dubbia attendibilità come Notovich.
In particolare, quest'ultimo asseriva che, sia prima che dopo la benintesa crocefissione, Gesù si fosse recato nei luoghi da lui visitati in giovinezza, ove aveva appreso le tecniche per curare i malati e la saggezza orientale: nulla di nuovo, se consideriamo che nel suo stesso periodo storico Apollonio da Tiana fosse stato accreditato di una storia assai simile. Il percorso seguìto dal taumaturgo "cristiano" iniziava in Buthan, proseguiva in India, Tibet (è un classico) e terminava in Kashmir, dove si afferma che "Gesù" abbia trascorso il resto della sua vita insieme alla Maddalena e un nugolo di figli: tutt'oggi si pretende che, in qualche località di questa regione, esista la tomba del "santo Isha", sepolto addirittura accanto ad "Abramo".
Parecchie cronache locali asseriscono la medesima cosa, ma sinora nessuno ha ricevuto il benestare a scoperchiare il sacello. Non so dire se in questo caso le cose stiano secondo i canoni delle usuali arrogazioni multi-culturali, ma a parer mio, per quanto riguarda questi ultimi dettagli, non occorre scomodare il già dubbio Notovich; il "Kashmir" è una regione che possiede parecchie leggende assai simili a quelle bibliche e che ricorre anche in scritti apparentemente avulsi da connessioni incrociate. Ad esempio, potrei ricordare che nel capitolo quinto del terzo libro dell'Oera Linda Boek, una strana e controversa opera frisone d'incerta origine e datazione, si parli di un tal Iesu, anche detto Budha, Khrishen ("Pastore") o Fo ("il Falso"), nato miracolosamente da due genitori d'alto rango, che furono costretti a vivere in povertà per lo scandalo, e proveniente da una regione chiamata Kasyamir (Kashmir?).
Quest'opera pare essere il frutto di uno scherzo di un o errore di copiatura dell'antiquario che disse d'averla scoperta; il che accadde qualche decennio prima degli exploit di Notovich e compagni. Non so dire neppure se quest'ultimo abbia ripreso dai dati dal libro o se l'opera sia stata vergata sulla scorta di voci già preesistenti, giunte all'orecchio dei suoi compilatori; fatto sta che i documenti indipendenti del Kashmir siano senza dubbio più antichi del primo.
Con tutto ciò non stiamo dicendo che un personaggio di per sè leggendario potrebbe risultare storicizzabile già grazie a simili voci: anche perchè, per inciso, non sarebbe comunque un "dio incarnato".<%pagebreak()%>Non dovremmo affatto meravigliarci di ritrovare tematiche indeuropee all'interno di un mito a "sfondo ebraico" o riferimenti a legami tra ebraismo ed Estremo Oriente: se dovessimo dar credito agli stessi storici ebraici, tutto ciò avrebbe un senso.
Ad esempio, Flavio ci faceva sapere che secondo Aristotele gli ebrei discendessero da un'etnia d'origine indiana chiamata khalani; stessa cosa ci riferiscono Megastene ed Eusebio citando Clearco da Soli. Desiderei evitare di bollare d'assurdità una voce del genere, che evidentemente non dispiaceva agli ebrei, dal momento che parecchi apologisti giudei adoravano Aristotele al punto da essersi spinti a battezzarlo come il discendente della tribù di Beniamino (!): l'affermazione potrebbe comunque portarci a speculare alcune stranezze sulla scia di nozioni che potrebbero anche risultare probative.

Così come nulla di certo sappiamo della provenienza dei sumeri, allo stesso modo incerto è lo stock etnico e la provenienza originaria degli ebrei. La pretesa di far provenire Abramo da "Ur dei caldei" è a dir poco fuori luogo, dacché Ur non fu mai caldea se non mezzo millennio prima di cristo; tutt'al più potremmo dire che "Abramo" fosse provenuto da un'altra Ur (forse Urfa, l'antica Edessa...), che era in area hurrita, presso la Cilicia.
Molto sicuramente, più che "caldei", il redattore avrebbe dovuto parlare di Khaldia, antica capitale urartu (i "calibi" greci, affini ai "cimmeri"), sul Van (donde "Ararat"), nell'area attualmente curda dell'Iraq: presso quella Harran (la Carre di Crasso, della quale era stato patrono Sin, come per l'Ur sumera) che è detta compatria del "patriarca" unitamente ad "Ur" (1). Anche questi erano una stirpe né semita né indeuropea, che parlava un tipo di linguaggio agglutinativo, come i sumeri; v'era similarità con i ceppi di linguaggio uralo-altaici, quindi nord-orientali. Ciò, a meno che non si volesse seguire l'opzione offertaci dal Talmud (Baba Bathra 91.1-2), secondo la quale questa "Ur" sia Kutha, patria di Nergal, che in effetti è un dio assai simile a Yahvéh; Maimonide aggiungeva ulteriore confusione, dicendo che Abramo provenisse da Kutha, e che fosse un sabeo, adoratore delle stelle...

Sia come sia, da "khaldiani" a "caldei" a "khalani", il passo è molto breve: specie qualora considerassimo che i primi fossero prevalentemente indeuropei.
Questa provenienza non risolverebbe comunque il busillis, dacché gli urartu apparvero intorno al 900 a. C. anziché in epoca di rigoglio caldeo. A meno che non si tratti dell'inizio dell'epoca caldea, che si pone appunto intorno al 900 a. C.: la qual cosa implicherebbe che i redattori abbiano attualizzato popolazioni antecedenti nella persona di altre posteriori. Se così fosse, la cosa comporterebbe anche che "Abramo" debba esser fatto risalire a qualche periodo molto più recente dei due millenni assegnatigli, a meno di non voler ammettere che si tratti di una figura ibrida, dato che ritroviamo già un nome simile (Abramu) nei testi di Ebla e di Mari...
Ma lasciamo Abramo, onde evitare di spingerci più in là, e torniamo al nostro discorso, dopo aver approfittato di questa post-introduzione.

Il corridoio transcaucasico costituiva qualcosa di più che un passaggio obbligato per le rotte commerciali da Oriente a Occidente; dopo l'intermezzo babilonese si nota un'evoluzione dell'astronomia e di scienze correlate che migrarono molto presto verso l'Estremo Oriente, contribuendo in tal modo a gittare le basi della condivisione culturale in materia.
Dalla caduta di Sargon il Grande alle migrazioni dei popoli indeuropei dagli altipiani iranici lungo il corridoio del Caucaso e verso l'India, si assisté a un graduale sincretismo fra concezioni che, molto probabilmente, ebbero origine in comune con quelle delle genti che abitarono la Mesopotamia sin prima della nascita della letteratura vedica e delle sue defluenze seriori, quali furono l'induismo e il buddhismo: sia prima che dopo l'invasione akkadiana, i sumeri ebbero rapporti d'ogni tipo anche con popolazioni dell'Estremo Oriente e (pare) persino africane, così come sembra sussistessero notevoli affinità in particolar modo con le popolazioni della Valle dell'Indo.

L'Oriente è il crogiolo di formazione delle civiltà indeuropee: la lingua, gli usi, le leggi condivise da queste genti hanno avuto origine fra gli altipiani indo-iranici e si sono spostati successivamente verso est incontrando le culture semite, con le quali interagirono e si contaminarono, dando origine a formazioni culturali commiste.
I romani, che con gli sciti e gli hurro-hittiti fecero parte delle ondate seriori verso occidente, ripercorreranno le medesime rotte dei loro predecessori ellenici giungendo persino in Ceylon e in Cina: basti pensare che reperti hindu (come la famosa statua di Lakshmi) sono stati trovati persino a Pompei, importati da qualche mercante romano o magari indiano.

Forti rapporti commerciali sussisterono anche tra indiani e nabatei/tadmoriti, senza contare i greci prima e dopo Alessandro, che lasciò ai moderni khailash l'eredità di una religione abbastanza dionisiaca.
La facilità con cui questo culto attecchì, potrebbe non essere casuale: pur essendo anch'essa d'origine frigia o lidia (come quella del Sabazio adorato dagli ebrei romani, sua controfigura), molto probabilmente la religione dionisiaca è nata in Libia e di lì pervenne prima in Anatolia e poi in Grecia tramite i cretesi, sebbene risulti più probabile che le sue basi formative ancestrali affondino molto più lontano nel tempo e nello spazio.
Da fonti greche e latine è noto che sussistesse un legame tra il dio ellenico e personaggi similari della mitologia induista oltreché araba e siriana. I greci, che avevano già intessuto fitti rapporti con gli indiani, riscontrarono parecchie analogie tra la loro mitologia e quella induista, arcaica propaggine del crogiolo culturale indeuropeo. Molti scrittori greci parlavano frequentemente della venuta di Dioniso dall'India (ove, secondo la leggenda cristiana, si recò l'apostolo Tommaso, "gemello" di "Gesù"); una delle fonti di Beroso, lo storico Megastene, inviato da re Seleuco I presso l'imperatore maurya Chandragupta in tarda epoca alessandrina, nelle sue Indica annotava che il dio ellenico equivalesse a Shiva tanto quanto Krsna corrispondeva a Eracle. D'altronde, la stessa morte e resurrezione di Dioniso possiede un parallelo direi eclatante nella mitologia hindu, per quanto riguarda le incidenze astrali e soprattutto le assai ventilate connessioni con la mitologia induista (2).

Per quel che riguarda Krishna non crediamo sia necessario diffonderci più di quanto la sua stessa epica dichiara. Invece, il legame col buddhismo risalta molto più smaccatamente per motivi vuoi cronologici vuoi logistici. Nata secoli prima del tempo di Gesù, questa religione era nota a Clemente Alessandrino, primo fra i cristiani a menzionarla; egli faceva ripetuta allusione alla presenza del culto di Buddha ad Alessandria, dichiarando che

"i greci hanno rubato la loro filosofia ai barbari [...] Ci sono alcuni indiani seguaci dei precetti di Butta, che per eccessiva riverenza hanno fatto diventare un dio" (Stromata 1.15).

Pure Geronimo, ne In Iovinianum, ci attesta la sua conoscenza di Gautama, dicendoci che nacque da una vergine, Maia; identico nome apparteneva alla madre di Hermes, che incarna il pianeta Mercurio tanto quanto il saggio orientale. Non era l'unica analogia tra greci e induisti, tantomeno con il cristianesimo: Buddha nacque per miracolosa concezione mentre appariva una stella; fu tentato dal demone Marah; era seguìto da dodici discepoli (tra i quali uno prediletto, Ananda, e un traditore, Devadatta); un passo dei Jataka ci parla di un adepto che, pieno di fede nell'Illuminato, riesce a camminare sulle acque; in un altro episodio, ripetuto da un seguace nel Vimalakirti nirdesa suthra , Siddarta nutre cinquecento accoliti con un solo pane, e ne avanzò tanto che dovette essere buttato via! Data la cosa, non mi stupisce che Buddha sia stato fatto ulteriormente entrare "di frodo" nel pantheon cristiano sotto le spoglie di "san" Giosafat, come ammise sconsolato il gesuita francese Hippolyte Delehaye, tra i massimi esperti di agiografia cristiana.

Da ciò si nota la fondamentale condivisione di tematiche sia astronomiche che religiose apparentemente a se stanti (e, nel caso induista, molto più evolute di quelle occidentali), che, al tempo delle spedizioni del Macedone verso l'India, ricevettero il loro corroboramento filtrando nuovamente verso Occidente.
Volendo momentaneamente sorvolare sui richiami incrociati tra Africano e la letteratura zoroastriana, tali nozioni dovettero esser state note quantomeno agli esseni, a giudicare dall'ultima concione tenuta da Eleazar a Masada riferitaci ancora da Flavio nella Guerra Giudaica. Semplicemente, la cultura estremo-orientale era nota, ma la mentalità era sin troppo diversa da quella mediterranea per potersi impiantare in Occidente e lasciarvi delle impronte dirette significative: perlomeno non fra coloro i quali rimasero legati alle pristine credenze.

(1) Il nome del nonno di Abramo, Nahor, è una trascrizione del secondo nome con cui si chiamavano gli urartei, ossia Nahiri, e di Nahkuru, come appare nelle Lettere di Mari. Potrebbero essere i neuri di cui parla Erodoto, ossia una stirpe scita, già sconfitti da Tukulti-Ninurta I mezzo millennio prima dell'acme urartea. Tareh (Terach) è, invece, la trascrizione dell'assiro Tahuri, tutte città presso "Ur".
(2) Il Mahabaratha narra che Kacha, figlio di Brihaspati (Giove), maestro degli dèi, chiese a Sukracharya (Venere) d'insegnargli l'arte di riportare in vita i morti; gli asura, discepoli del secondo, uccidono Kacha per gelosia, ma il giovane resuscita grazie all'intercessione di Devayani, figlia del maestro. I demoni bruciano l'odiato rivale e mischiano le ceneri con la bevanda di Sukracharya, che alla fine gli restituisce la vita irrevocabilmente. Schema similare è ripreso nello Shiva Purana nell'incidente di Indra, Brihaspati e Shiva.
Riferimenti tra i culti dionisiaci e le prescrizioni yahvitiche si notano ad es. nel famoso divieto di cuocere l'agnello nel latte della madre, il che era quanto facevano i fedeli in onore di Dioniso.
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